Darth Maul: Figlio di Dathomir, la recensione

Darth Maul è protagonista di una storia di riscatto, vendetta e umanità soppressa

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Per inquadrare come si deve Darth Maul: Figlio di Dathomir, il più recente volume cartonato pubblicato da Panini Comics a tema Star Wars, saranno necessarie non poche coordinate di partenza, visto che questa miniserie a fumetti occupa un posto particolarissimo nel già complesso labirinto della continuity della saga.

Siamo al crepuscolo della gestione Dark Horse, quando l’imminente avvento della Disney sta per segnare la fine della ventennale collaborazione tra la Lucasfilm e la casa editrice dell’Oregon. Il vento di cambiamento che soffia in casa Star Wars sta per spazzare via anche la serie animata The Clone Wars, a cavallo tra la quinta e sesta stagione; una produzione che, dopo esordi limitati o poco incisivi, ha guadagnato spessore e apprezzamenti di stagione in stagione fino al culmine del quinto ciclo, conclusosi in un parossismo di scontri tra tutti i più potenti fruitori della Forza, da Obi-Wan a Mace Windu, da Darth Sidious a Dooku, a... Darth Maul.

Sì, perché uno dei colpi di scena della serie animata vede il ritorno in vita del Sith sconfitto da Obi-Wan nel finale di La Minaccia Fantasma. Rinnegato dal maestro per il suo fallimento, Maul (che necessita, naturalmente, di una protesi meccanica per la parte inferiore del corpo) è ora un “battitore libero”, nemico sia dei Jedi che dei Sith e deciso a fare la sua mossa per il dominio galattico radunando attorno a sé un eterogeneo ma pericoloso manipolo di forze che va dai guerrieri Mandaloriani ai criminali del Sole Nero.

Purtroppo, The Clone Wars non vedrà mai un seguito (la Disney preferirà lanciare Star Wars: Rebels, di temi e atmosfere più vicini a quelli dell’ambientazione classica) e il fato di Maul, prigioniero del suo ex maestro Sidious alla fine della stagione, resterà in sospeso.

Quando la cancellazione diventa una certezza, entra in scena la Dark Horse, che si offre di dare una chiusura alla trama di Maul lasciata in sospeso adattando a fumetti le sceneggiature degli episodi previsti ma mai realizzati: è così che nasce la miniserie Darth Maul: Son of Dathomirsceneggiata da Jeremy Barlow e disegnata da Juan Frigeri.

Ironia della sorte, il nuovo “canone” stabilito da Lucasfilm e Disney, pur consegnando all’universo alternativo Legends la stragrande maggioranza delle produzioni realizzate fino a quel momento, opterà per “ufficializzare” la serie animata The Clone Wars. E così anche il fumetto, sua naturale prosecuzione, verrà considerato in continuity.

Chiuso questo lungo ma doveroso preambolo, cosa troviamo in Figlio di Dathomir? La novità più sconcertante, ma anche la più interessante, è rappresentata dal seguire una storia in cui Maul è il protagonista. Abituati a vederlo come antagonista ringhiante e totalmente votato all’azione, Figlio di Dathomir, pur preservando certi capisaldi del personaggio, come la sua sete di vendetta e la sua furia, ne fa un personaggio più sfaccettato e tragico, donandogli un sofferto rapporto con una famiglia e impegnandolo in una letale partita a scacchi contro il suo ex maestro di un tempo, Sidious, e i servitori che hanno preso il suo posto: Dooku e Grievous. Sembrerebbe difficile poter tifare per Maul, eppure ci ritroviamo quasi a sperare che in qualche modo riesca nella sua impresa di riscatto e di vendetta, specialmente se confrontato al trio di Sith che, almeno in questa serie, non lascia trapelare nessun barlume di umanità o complessità e agisce come deus ex machina degli eventi, inesorabile e spietato.

Buona la prova alle matite di Frigeri, che decide saggiamente di abbandonare ogni riferimento visivo e grafico alla serie animata, che pure è la “madre nobile” della storia, per proporre tutti i personaggi in stile rigorosamente cinematografico. E sebbene la prova mostri qualche risultato superficiale nei primi piani o nella resa espressiva dei volti, nelle scene d’azione e nel ricreare il sense of wonder delle ambientazioni starwarsiane il risultato è molto gradevole e naturale.

Se i cattivi fanno da colonna portante alla storia, le forze del lato chiaro entrano in gioco negli atti finali, ma va detto che il loro contributo narrativo è marginale e limitato, quasi un ripensamento relativo al non rinunciare agli eroi più tradizionali, ma Obi-Wan e Windu hanno ben poco da aggiungere al quadro degli eventi (nonostante l’antica e perdurante faida tra Kenobi e Maul offra molto materiale emotivo su cui fare leva, ma si tratta di un materiale che lo stoico maestro Jedi decide volontariamente di mettere da parte e di ignorare).

Se azione, trama e sviluppo dei personaggi sono validi, c’è un solo difetto imputabile a Figlio di Dathomir, se di difetto si può parlare: quello insito nella sua stessa genesi. Chi affrontasse la storia a digiuno di tutti gli eventi pregressi avrebbe non poche difficoltà a capire cosa sta accadendo, e sebbene Barlowe faccia del suo meglio per inquadrare a grandi linee le motivazioni e la posizione “politica” di ogni giocatore, è molto probabile che il lettore casuale, convinto di immergersi in una normale avventura di Star Wars, passerà molto tempo a chiedersi chi siano Madre Talzin, la Duchessa Satine, la Ronda della Morte e molti altri riferimenti alle puntate precedenti di The Clone Wars.

Questo fa di Figlio di Dathomir un prodotto destinato soprattutto agli appassionati completisti e agli spettatori della serie animata. Poste queste premesse, le due categorie sopracitate lo troveranno prezioso e avvincente come “tassello mancante” di quelle vicende. E tutto sommato deve aver avuto la stessa opinione anche il gruppo narrativo Lucasfilm, visto che il Maul che esce di scena da questa miniserie è molto vicino al personaggio che farà la sua ricomparsa in Star Wars: Rebels.

Come direbbe il suo successore Darth Vader... “ora il cerchio è completo!”

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