Dark Horse - la recensione
[Venezia 68] Confinato nell'esistenza e nei piccoli problemi del suo protagonista, Solondz trova la solidità e la chiarezza d'intenti che non ha mai raggiunto...
Dark Horse di Todd Solondz è un'opera piccola piccola, che racconta di un uomo e su di lui si ferma, senza mai ampliare lo spettro delle proprie considerazioni. Tutti coloro i quali ruotano intorno a lui sembrano esistere solo in funzione del racconto che il regista vuole fare di quest'uomo e dei suoi sentimenti.
Come volesse cavalcare una moda, il protagonista è un nerd cresciuto, un bambinone ben oltre i 30 anni che vive con i genitori e lavora svogliatamente nella ditta del padre. Ha i soldi ma non ne guadagna davvero, guida un hummer giallo, è inadatto alle relazioni sociali e colleziona action figure. Insomma è uno stereotipo. Ma l'incredibile viaggio che il regista fa compiere allo spettatore lo restituirà alla giusta complessità.