Daredevil (seconda stagione): la recensione
L'universo Marvel-Netflix si arricchisce di un nuovo capitolo: la seconda stagione di Daredevil estende la mitologia del diavolo di Hell's Kitchen
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Blocchi tematici prima che narrativi, frammenti di una storia a incastro che esclude tutto ciò che non le è stilisticamente familiare, anche se ambientato nello stesso universo. Queste sono le incursioni nel mondo della Marvel nate dalla collaborazione con Netflix, di cui la seconda stagione di Daredevil è il terzo esempio dopo la prima, folgorante annata della serie e dopo Jessica Jones. Cupi affreschi urbani dove una dominante ora verde ora ambra può fare breccia nella notte per illuminare un momento di violenza e, forse, innalzarlo a qualcosa di più. Pur mantenendo molto dell'annata precedente, Daredevil ne tradisce in parte la struttura, sdoppiandosi in due filoni principali che sostengono lo sviluppo alternandosi in scena. C'è molto di gratificante per lo spettatore, ma aumentano anche le imperfezioni a livello di scrittura: vari difetti sparsi in corso d'opera che la rendono inferiore rispetto alla prima stagione.
Blocchi tematici dicevamo. Daredevil, season 2, sceglie il tema della redenzione come forma del racconto. Forma, non solo contenuto, perché questa scelta ne condiziona le storie, dilata i tempi, frena i giudizi sommari dei personaggi e sui personaggi. Lo scorso anno era la salvezza e il malsano rapporto, sia di Devil che di Fisk, con il quartiere di Hell's Kitchen; quest'anno si torna a fare i conti con una vittoria che, come dirà Matt a un certo punto in tribunale, non è servita a guarire una città che in fondo rimane "malata". Daredevil, The Punisher, Elektra sono un prodotto della città tanto quanto lo è il crimine da loro combattuto. Ognuno di loro affronta un cammino personale di redenzione – che ne siano consapevoli o no, che funzioni o no – che è lo stesso sostenuto da un quartiere che non ha più la scusa di sentirsi costretto nella morsa di un unico criminale, e che deve rimboccarsi le maniche in ogni suo ambito (forze dell'ordine, tribunali, stampa) per ripartire.
Elektra Natchios per certi versi è l'opposto. Si tratta di un personaggio che nel corso della stagione presenta varie sfumature: la conosciamo come viziata e fuori di testa nei flashback di Matt, la ritroviamo nel presente come assassina senza scrupoli – anche qui Daredevil deve lottare per far rispettare il comandamento sul non uccidere – e ancora in un passato lontano come ragazzina sanguinaria e priva di emozioni. Sia Elektra che Frank sono personaggi che respingono la possibilità dello spettatore di empatizzare con loro. Devil dovrebbe rappresentare il tramite per portarli alla luce, per far scoprire loro la compassione ("What about redemption?", chiederà a un certo punto a Frank, tanto per restare al solito tema), ma senza grandi risultati. E d'altra parte come potrebbe Matt, lui stesso un figlio della notte, aiutarli? Più facile allora che avvenga il contrario, e che sia lui a dover scendere a compromessi.
La struttura della prima stagione era più immediata e lineare. La piramide del crimine veniva scalata passo dopo passo, avversario dopo avversario, fino al più classico degli scontri con il boss finale, e il necessario contraltare alle vicende di Daredevil era la costruzione del rapporto con Foggy e Karen, che poi serviva anche ad alleggerire il tutto. Qui invece, dopo quattro episodi, la vicenda si sdoppia seguendo due filoni narrativi che procedono paralleli, che concedono poco respiro ai personaggi e alla storia, che martellano con un ritmo costante. Ancora una volta lo stile Netflix, mai così forte, mai così marcato, e la sensazione di trovarsi di fronte ad un lungometraggio di 13 ore, con le sue pause ad effetto (l'apparizione di Elektra nel finale del quarto episodio) e gli irrinunciabili cliffhanger che ci accompagnano in una storia in cui il bingewatching è più che un suggerimento, è una necessità.
D'altra parte a qualcosa si dovrà rinunciare, ed ecco in effetti Foggy e Karen messi da parte. Esclusi non dalla scena in sé – li vedremo spesso, anche da protagonisti in più momenti – ma proprio da Matt, che spesso li mette in difficoltà e si comporta da egoista. Sì perché, in questa stagione che sacrifica l'empatia alla voglia di presentare dei personaggi coerenti, si può anche ammettere che alla fine della notte (letteralmente, il momento al cimitero nell'ultima puntata ci colpisce più per la luce del giorno che per altro) l'alba non si accompagni a un lieto fine, ma solo a un nuovo inizio.
Purtroppo, come lo scorso anno, la risoluzione finale e il climax non rendono giustizia alle premesse. Intanto, il tema della prima stagione anche grazie a Wilson Fisk, era più forte, e poi quest'anno la serie deve fare i conti con una serie di contraddizioni. Già lo scorso anno il comandamento "non uccidere" era apparso più come un limite che come un valore aggiunto. Quest'anno, diventando la pietra angolare del rapporto tra Matt e Frank, quella debolezza grava ancora di più. Daredevil non uccide, oppure si limita a concedersi un'eccezione una tantum, oppure scaraventa senza troppi pensieri il suo avversario da un tetto, tanto ci penserà la scrittura – errore molto grave – a scagionarlo, nell'occasione facendo sopravvivere Nobu e lasciando a Stick il compito di ucciderlo.
A proposito di immortalità, la deriva misticheggiante portata dalla Mano e dal ritorno di Black Sky, oltre a stonare con il presunto "realismo" della serie, per il secondo anno non porta a nulla di risolutivo. Sappiamo che Elektra tornerà in vita (la Marvel, anche nelle sue opere più mature, ha annullato il valore drammatico della morte, tant'è che la scomparsa del personaggio non ci colpirà più di tanto), ma quello che manca è il contesto: alla fine quello che rimane, letteralmente e non, è una grossa buca non riempita. Idem per la conclusione della storia di Frank Castle e del misterioso Blacksmith: coincidenza il fatto che l'ex commilitone sia anche il nuovo capo della criminalità? Collegamenti che ancora non ci sono stati spiegati? Sarà, ma l'idea di rimandare ulteriori spiegazioni al futuro sà più di delusione che di cliffhanger.
La seconda stagione di Daredevil poggia sulle ceneri della prima, ma al tempo stesso rilancia per il futuro, lasciando più di una porta aperta. Lo fa confermando uno stile personale e riconoscibile, che con Jessica Jones abbiamo imparato a non accostare solo a Daredevil, ma a tutto il progetto Defenders. Oltre agli scenari ben riconoscibili ritroviamo l'alto tasso di violenza, combattimenti ora più coreografati (si parlerà molto di una certa sequenza nel terzo episodio, che riprende quanto fatto lo scorso anno in Cut Man) ora più brutali. Una cupa dimensione metropolitana in cui la meraviglia dell'impossibile (grandi eroi, minacce titaniche e impalpabili, imprese eccezionali) viene svilita e ridotta ad una disillusa visione da quartiere, senza gloria né redenzione, in cui Devil può anche ammettere di trovarsi intrappolato, essendo lui stesso un prodotto di Hell's Kitchen.
Considerazioni sparse:
Tra le piccole forzature che non ha senso riportare qui, una va scritta: è difficile trattenere le risate immaginando la faccia di un lettore tipo del New York Bulletin che apre il giornale e si trova di fronte il pezzo – che è più un post di Facebook – scritto da Karen nell'ultimo episodio.
Vincent D'Onofrio è, in tutti i sensi, un gigante. Il rientro in scena di Wilson Fisk, anche se solo per poco, è gestito in maniera esemplare. I momenti in cui si confronta con Punisher, poi, sono tra i migliori della stagione.
Jon Bernthal e Élodie Yung sono state due scommesse vinte, in particolare il primo, che ruba la scena a più riprese. Ovviamente gradito anche il ritorno di Rosario Dawson nei panni di Claire.
Da segnalare anche la breve apparizione di Tony Curran: la sua interpretazione di Vincent van Gogh in un episodio del Doctor Who è di quelle che non si dimenticano.
Come in passato, i collegamenti con il Marvel Cinematic Universe arrivano con il contagocce: la Roxxon, la battaglia di New York o la Cybertek che appaiono su un ritaglio di giornale. Ovviamente i riferimenti più palesi sono tutti per Jessica Jones.
È anche da scelte come queste che si capisce quanto striderebbe l'inserimento di Devil o Punisher nei film: stile lontanissimo, coerenza interna che risponde a logiche completamente diverse, entrambi i prodotti ne soffrirebbero.
L'appuntamento con il prossimo prodotto Marvel-Netflix è per il 30 settembre, data di uscita di Luke Cage.