Daredevil: L’Uomo Senza Paura, la recensione

Nonostante il titolo altisonante, L’Uomo Senza Paura è una storia di Daredevil che non lascia alcuna traccia

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Dopo gli eventi di La morte di Daredevil, la Marvel ha pubblicato una miniserie settimanale in cinque numeri intitolata Man Without Fear con l’intento di raccordare la run di Charles Soule e Phil Noto con il prossimo ciclo di storie firmato da Chip Zdarsky (Sex Criminals) e Marco Checchetto (Old Man Hawkeye). Il cartonato presentato da Panini Marvel Italia si apre con il Diavolo Rosso moribondo in un letto d’ospedale, mentre al suo capezzale troviamo l’amico di sempre Foggy Nelson e l’amata Kirsten McDuffie.

Sceneggiatore di questo ambizioso progetto è Jed MacKay il quale, pur partendo da uno spunto stimolante, non riesce ad aggiungere nulla di nuovo alla mitologia del personaggio. Sfruttando lo status quo del Cornetto, lo scrittore di Infinity Warps: Ghost Panther delinea quella che è a tutti gli effetti una retrospettiva su Daredevil, con tanto di passerella dei comprimari della serie: ogni capitolo della miniserie è segnato dalla presenza di un personaggio diverso, da Foggy a Kirsten, dal sindaco Wilson Fisk ai colleghi Difensori. Intanto, nella mente e nel cuore del protettore di Hell’s Kitchen si gioca una partita che potrebbe determinarne in maniera definitiva il futuro.

Se il gancio narrativo potrebbe apparire ammaliante – “A cosa serve la paura? A farci andare avanti.” – lo sviluppo della storia è decisamente deficitario. Lungo le oltre cento pagine del volume, MacKay non riesce a trasmettere verve con questa storia, la quale si limita a ripresentare stancamente qualcosa di già visto: non è la prima volta che il povero Matt deve superare dei traumi o si interroga sul suo ruolo di eroe; così come, non sono mancati in passato approfondimenti sul suo rapporto con Foggy o Kingpin. Ciò che latita, però, è la capacità di trasmettere qualcosa di memorabile che possa impressionare ed emozionare il lettore con il consueto carico di azione, pathos e dramma.

"MacKay non riesce a trasmettere verve con questa storia, la quale si limita a ripresentare stancamente qualcosa di già visto."Strutturata in maniera prevedibile, la parabola umana dell’avvocato cieco non presenta spunti interessanti, non appassiona e, complici i dialoghi poco incisivi, lascia non pochi dubbi sull’utilità dell’operazione. D’altronde, sfruttare lo stesso titolo della storica miniserie scritta da Frank Miller e disegnata da John Romita Jr. nel 1993 ha creato non poche aspettative. Il racconto di MacKay, purtroppo, le delude tutte e ne esce con le ossa rotta, lontano anni luce da quella che è una delle pietre miliari del Fumetto, e non solo della storia editoriale di Matt Murdock. Le peculiarità che hanno reso unico questo personaggio – il retaggio cattolico, il legame con la giustizia, il rapporto con il padre e con le donne – non sono presenti o vengono declinate in maniera banale e priva di mordente.

Tocca a Danilo Beyruth aprire e chiudere le danze con tavole che non riescono a trasmettere la drammaticità della guerra interiore di Murdock; anatomie ingessate e scarsa espressività caratterizzano la prova di Stefano Landini, mentre risultano più a fuoco le matite di Iban Coello e Paolo Villanelli (il migliore del gruppo): tutti artefici di una prova dignitosa, ma che non emoziona né conquista il lettore.

L’Uomo Senza Paura è dunque un capitolo superfluo della saga di Daredevil, in quanto ignora i punti cardine che hanno reso unico il personaggio nel corso degli anni e non sa capitalizzare il particolare momento che sta vivendo.

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