Danzando sul cristallo, la recensione

Danzando sul cristallo è un film sui corpi, come era lecito aspettarsi da un film sulla danza, ma deraglia completamente quando vorrebbe farsi dramma psicologico

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La recensione di Danzando sul cristallo, disponibile su Netflix

Era facilmente intuibile, quasi scontato, che un film ambientato nel mondo del balletto mettesse al centro il corpo delle giovani protagoniste, lo sforzo e l’impegno costante a loro richiesto. Un tema, quello della danza femminile, assai frequentato dal cinema contemporaneo, occasione per delineare figure anticonvenzionale (Ema), per rappresentare l’estasi dei sensi (Climax). Danzando sul cristallo, fin dal titolo (Las niñas de cristal, in originale) sottolinea la fragilità fisica della protagonista, evocata dalle tante statuette di cristallo che appaiono sugli scaffali. Lei è Irene, giovane ballerina selezionata per il ruolo da protagonista in Giselle, la più grande produzione della Compagnia nazionale di Danza spagnola, come sostituita di Maria, compagna suicidatasi in condizioni misteriose. Divenendo bersaglio dell’invidia delle compagne, trova un rifugio in Aurora, compagna timida e riservata, l’unica che sembra capirla e accettarla.

Irene è dunque vessata dalle aspettative sul suo ruolo, sfiancata dalle prove tenute da un'insegnante dai toni dispotici che chiede a tutti di dare il massimo, perché "l’arte deve essere un ossessione, non un intrattenimento". Incombe su di lei il fantasma di Maria, della quale è chiamata ad essere una reincarnazione. Ne deriva un malessere che si manifesta a livello fisico e psicologico.

Il regista Jota Linares dà sicuramente il meglio di sé nei momenti in cui lascia parlare i corpi, specialmente nelle estenuanti sessioni di prove. Le ballerine, inoltre, non sono rinchiuse dentro la scuola, e così possono aprirsi al resto del mondo, passando dai saloni di danza alle discoteche. Il film, nella prima parte, procede lentamente, concentrandosi sull'esperienza dei personaggi, che, al ritmo dei beats dance, trovano sfogo dai rigidi codici a loro imposti lasciando emergere la loro interiorità. Ma poi la dimensione psicologica, che dovrebbe emergere nella seconda parte, è sola accennata: restano sullo sfondo le potenziali tinte horror, date le promesse, e il film si adagia su una caratterizzazione dei personaggi assai banale.

L’intreccio si concentra infatti soprattutto sul nascente rapporto tra Aurora e Irene. Senza approfondirli molto, i due personaggi sono chiaramente due poli opposti inevitabilmente destinati ad attrarsi. La prima è sicura di sé, determinata a fare carriera nel mondo della danza; la seconda invece è la classica figura che ha bisogno di una mano per buttarsi nella mischia. Il loro legame però non è mai veramente funzionale alla storia, utile ad una crescita o a svelarne lati prima sconosciuti. Finisce per svilupparsi in lunghi duetti, rappresentati con toni esasperati e stucchevoli: momenti importanti per i personaggi, ma sicuramente non per noi, che non riusciamo ad appassionarci alla loro vicenda.

In questo modo, al di fuori della dimensione del ballo, Danzando sul cristallo punta su dinamiche sentimentali da high school drama, su colpi di scena tanto eclatanti quanto poco credibili. L’intreccio risolve poi tutti i conflitti e le zone d’ombra: persino la figura dell’insegnante, che per certi versi poteva richiamare la Madame Blanc di Tilda Swinton in Suspiria, trova uno spiraglio di luce. Così, in estenuanti 140 minuti di durata, il film non è né un trascinante film sulla danza, né una forte denuncia del suo mondo, né un'appassionante parabola esistenziale. Vorrebbe essere tutte queste cose assieme, senza essere mai esserne nessuna per davvero.

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