Dance First, la recensione
Dance First è un biopic su Samuel Beckett spettrale e frammentario, che utilizza bene il b/n ma cade vittima della sua stessa confezione
La nostra recensione di Dance First, biopic su Samuel Beckett presentato al Torino Film Festival 2023
Si inizia con la consegna del Nobel nel 1969, non gradito all'autore che, così scappando nel retro del teatro, parla con il fantasma di se stesso, che lo invita a scegliere a chi regalare il premio in denaro. L'uomo passa in rassegna le figure importanti della sua vita: la madre, James Joyce, l'amico Alfred, la moglie Suzanne, l'amante Barbara Bray, critica e traduttrice. Ovvia occasione per raccontare alcuni passaggi chiave della sua vita, soffermandosi sulla sua formazione (l'incontro con Joyce, la Resistenza francese) e poi sulla vecchiaia trascorsa a Parigi, lasciando a margine la parte che riguarda la realizzazione dei suoi capolavori. L'intreccio non condensa dunque i momenti più importanti della sua esistenza, quanto propone quadretti autonomi, che anche nel loro insieme non forniscono un ritratto a tutto tondo del protagonista, ma cercano piuttosto di raccontarne l'interiorità.
Proprio infatti la dimensione frammentaria diventa poi la zavorra del film. Se è chiara l'intenzione di dare spazio a tre figure femminili poco ricordate, nella struttura narrativa queste si riducono a uno stereotipo: la madre autoritaria, la moglie ispiratrice e poi tradita, l'amante da cui rifugiarsi con vergogna. Così come rimane abbozzata la figura di James Joyce (un misurato Aidan Gillen) che il film mostra come padre interessato a Beckett solo come compagno alla propria figlia, che soffre di problemi mentali. Anche in fondo il procedere per spunti diventa un cortocircuito: le poche pregnanti frasi che pronuncia il protagonista vorrebbe essere piene di significati, rimandare al suo stile e alle sue opere, ma lasciate isolate risultano solo banali. Così anche quando si spiega l'accezione della frase citata nel titolo ("Dance First, then Think") l'effetto è stucchevole, ad appannaggio forse solo dei cultori, non certo dello spettatore occasionale.