Dall'alto di una fredda torre, la recensione

Tutto quello che meno si sopporta del cinema italiano frena Dall'alto di una fredda torre, film con buoni dialoghi e ottimi attori

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Dall'alto di una fredda torre, il film con Edoardo Pesce e Anna Bonaiuto in uscita il 13 giugno

Il cinema americano sa raccontare storie che sono dei What If… cioè cosa sarebbe accaduto se un dettaglio del passato non fosse andato come sappiamo. Noi invece siamo bravi a girare dei What If… che accadono nella testa degli spettatori. La storia scritta da Filippo Gili per Dall’alto di una fredda torre (uno dei titoli più scacciaspettatori dell'anno) è esattamente questo: una trama che muove dei personaggi e che sa spingere ogni spettatore a chiedersi “Che cosa accadrebbe se ci fossi io al posto loro? Cosa farei?”

È la storia di due figli adulti e irrisolti, fratello e sorella, a cui viene comunicato che lo strano male che ha colpito i loro genitori contemporaneamente è mortale. Per salvarli occorre un trapianto di midollo, e occorre così in fretta che devono donare loro due, non c’è tempo per cercare altri donatori. Purtroppo uno dei due, fatti gli esami, non può fare da donatore e l’altra non può donare per due, solo per uno. Devono decidere quindi quale genitore salvare e quale lasciare morire.

L’intreccio è ottimo e anche la maniera in cui è portato avanti, svolto, spiegato e, a un certo punto, stretto è impeccabile. Il problema del film che Francesco Frangipane ha tratto da questa sceneggiatura, è che in tutte le scene in cui non viene portata avanti la trama, quelle di interludio, di discussione, di atmosfera o anche solo di decompressione, il film si perde in un repertorio abusato (e stucchevole) di urla verso l’orizzonte, scatti isterici, cavalli che fuggono, botte tra fratelli per frustrazione e dialoghi fatti senza guardarsi. È il catalogo delle scene intense da cinema italiano, scritte senza impegno, girate con ancor meno voglia di fare cinema. È un repertorio non solo così frequente e risaputo da non voler dire niente, ma privo di una vera intensità anche quando era una novità (decenni fa).

È un peccato perché invece, quando il film assolve all’incombenza di mandare avanti la storia, trova scene ottimamente dialogate e fa funzionare (a tratti) i suoi ottimi attori. Specialmente nelle molte scene a tavola è in grado di spiegare con efficacia i rapporti dei figli con i genitori e fare in modo che anche noi teniamo a entrambi, rendendoci partecipi della difficoltà della scelta. È proprio un film in cui la scansione della narrazione è ben organizzata. Lo si capisce definitivamente quando, nel momento in cui sembra stare esaurendo la forza propulsiva dello spunto, entra in gioco il medico che ha annunciato ai due protagonisti il problema. Poteva sembrare poco più di una comparsa, uno spettatore della vicenda, e invece diventa parte attiva. Addirittura con poche fuoriuscite nella sua vita privata siamo anche in grado di intuire le ragioni delle sue prese di posizione. La sua presenza introduce molta complessità in un ragionamento che rischia di rimanere semplice e apre a tutte altre domande non più solo etiche ma proprio umane.

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