Dads, la prima live action comedy creata da
Seth MacFarlane, arriva preannunciata da una tempesta di
polemiche e pareri a dir poco negativi aventi ad oggetto il suo caratterere politically uncorrect e la sua presunta volgarità gratuita. Conoscendo l'autore alle spalle e il suo percorso produttivo (
Griffin,
American Dad,
Ted) queste caratteristiche non stupiscono affatto e, anzi, sono parte integrante della premessa di uno show che, alla vigilia del debutto, le ha raccolte, filtrate attraverso una serie di dichiarazioni negative, trasformandole in un
promo di lancio. "Purché se ne parli...", insomma. Archiviate queste premesse, i veri problemi giungono una volta guardati questi primi venti minuti che costituiscono il pilot di Dads ed essersi trovati di fronte alla sua imbarazzante e noiosa vacuità.
Lo scarno e prevedibile plot vede due uomini (Seth Green, che dopo la collaborazione per Robot Chicken torna a lavorare con MacFarlane, e Giovanni Ribisi) che si ritrovano per vari motivi ad avere a che fare con i rispettivi disastrati padri (Peter Riegert e Martin Mull), con cui non hanno mai avuto un buon rapporto. Partendo da una straniante e lunga opening che poco ha a che vedere con il tono generale della serie, vengono presentati in questi primi venti minuti tutti i protagonisti, le loro caratteristiche e quello che si presume sarà il modello di base dell'elemento comedy dello show.
Per la scarsa capacità di far ridere, il ritmo blando e la mole spropositata e fastidiosa di risate in sottofondo, il primo paragone che viene in mente è con la tipica sitcom Disney, di quelle che prima o poi tutti guardano, magari di sfuggita, anche se non lo ammettono -
Zack & Cody, c'è anche
Brenda Song nel cast, et similia - ovviamente appesantita dal classico campionario dei prodotti animati di MacFarlane. Ecco quindi
volgarità gratuite (un asciugamano che copre i genitali che cade all'improvviso), un velato razzismo marchiato da
stereotipi (la giapponese costretta a vestirsi da scolaretta, peraltro in una continua confusione tra cultura cinese e nipponica, ma anche l'autocitazione con la colf Consuelo), le battute immediate, legate all'istante e dirette più allo stomaco che alla testa.
Il tutto cucinato e servito in una confezione che tradisce nella messa in scena e nella tecnica la stessa noncuranza con la quale sembra essere stata portata avanti la scrittura: setting poveri, anche per una comedy multicamera, e un montaggio fatto di stacchi improvvisi da un ambiente all'altro e, al contrario, singole sequenze troppo statiche.
Alla fine degli anni '90 MacFarlane è riuscito nell'impresa di fondere l'irriverenza attraverso l'immedesimazione e il rispecchiare la nostra società dei
Simpson con la geniale follia di alcuni prodotti di Cartoon Network (lavorò per
Mucca e Pollo e
Il laboratorio di Dexter) portando alla luce i Griffin. Oggi, doppiatore, produttore e regista cinematografico, continua a ideare nuovi show in una parabola creativa discendente che, se ancora nella sua "anima animata" riesce a risultare sufficiente, in quest'ultimo caso ha partorito qualcosa di disastroso.