Daaaaaali!, la recensione | Festival di Venezia

In Daaaaaali!, Quentin Dupieux Omagia l’artista catalano schivando la trappola del biopic e confezionando un folle calembour narrativo

Condividi

La nostra recensione di Daaaaaali!, il film di Quentin Dupieux presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2023

Chiunque si aspetti un biopic anche solo vagamente tradizionale si troverà spiazzato davanti a Daaaaaali!, bislacco omaggio di Quentin Dupieux al celeberrimo surrealista catalano. Basterebbe già la scelta di alternare, fuori da qualsiasi criterio cronologico, i volti di ben quattro attori chiamati a incarnare il pittore di La persistenza della memoria per far comprendere che Dupieux, tornato al Lido a tre anni da Madibules, ha modellato il suo ritratto basandosi sulla poetica dell’uomo che vuole, a suo modo, raccontare. Mille volti, nessuna pretesa di verosimiglianza.

Daaaaaali! è, infatti, un film gioiosamente e rigorosamente surrealista. Ogni verosimiglianza è messa in discussione già dalla primissima scena, in cui ci viene presentata la giornalista Judith (Anaïs Demoustier) che dovrà incontrare l’eccentrico artista inquadrata dalla cornice di una televisione, come se fosse essa stessa oggetto di un’intervista. Un piccolo mistero che viene svelato nel corso di un’opera configurata come un esilarante gioco di scatole cinesi, in cui ogni piano di surrealtà viene poi ulteriormente inquadrato in una cornice più ampia e, per questo, ancor più folle.

L’arte dell’assurdo

L’intervista a Dalì è un miraggio, una chimera inafferrabile, come ben mostrato già nella spassosa sequenza nel corridoio alberghiero. L’incontro tra Judith e l’istrionico pittore è continuamente rimandato, filtrato attraverso una lente onirica che tracima situazioni e simbolismi dalieschi senza mai adagiarsi sul mero ricalco visivo. Dupieux è un creativo puro, e rielabora l’immagine pop di Dalì a mo’ di visione di sogno, aiutato da una messinscena suggestiva ed evocativa. Popola, inoltre, questo rutilante palco di personaggi memorabili nella loro archetipicità grottesca cui solo Judith sembra sfuggire.

Inoltre, il regista francese dimostra, oltre a tempi comici fenomenali e fiuto eccelso per un umorismo stralunato e straniante, di aver compreso appieno come, per raccontare un artista come Dalì, si debba penetrare anzitutto lo spirito della sua arte. In tal senso, la biografia dell’uomo è spazzata via dall’esplosiva potenza del personaggio, in una sceneggiatura che è un immenso, godibilissimo calembour. Viva Dalì, anzi: viva Daaaaaali!

Continua a leggere su BadTaste