Da me o da te, la recensione

Non c'è una vera idea in Da me o da te, ma la copia di altri spunti. Così tutta la parte formulaica è sola abbandonata alla sua genericità

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Da me o da te, il film in uscita su Netflix il 10 febbraio

Aline Brosh McKenna è la quintessenza della mestierante da studio, se ancora esistessero queste figure. La sceneggiatrice che può adattare il romanzo Il diavolo veste Prada da sola e poi passare alle commediole matrimoniali, scrivere un bel film come Il buongiorno del mattino (addirittura diretto da Roger Michell) e poi ancora un film di bambini e cani e di nuovo materia per signore con figli alle scuole medie, impostare il soggetto di Crudelia per Disney e ora passare a dirigere un film da una sua sceneggiatura. Peccato che proprio ora, nel momento più importante, la scrittura l’abbia tradita.

Da me o da te ha gli attori giusti (più Reese Witherspoon che Ashton Kutcher), ha l’ambientazione giusta e i comprimari giusti (Tig Notaro e Jesse Williams) ma il soggetto più fiacco. Un uomo e una donna vivono una notte di sesso da giovani e poi per venti anni sono amici a distanza, al telefono. Quando il film inizia uno è lo scapolo ricco con velleità da romanziere, l’altra una mamma concentrata solo a fare la mamma. L’esigenza di lei di andare in un’altra città per lavoro spinge l’amico a fare qualcosa, muoversi e badare al figlio di lei consentendole di partire. Staranno ancora a distanza ma a ruoli invertiti (ora è lei a vivere nell’appartamento di design di lui e lui a fare il padre).

È lo spunto di L’amore non va in vacanza (persone che si scambiano le case e quindi le vite, vivendo l’opposto di quello a cui sono abituati) con molta meno verve nei personaggi principali e Ashton Kutcher a macinare inutilità in una parte invece cruciale. È la storia del vero amore che trionfa (e ci mancherebbe!) ma con così poca plausibilità anche per i più indefessi romantici da San Valentino (i due non si sono confessati i propri sentimenti per venti anni e sembrano non avere nessuna ragione per non averlo fatto) che anche la dialettica tra l’amore sicuro e familiare in lotta con quello perturbante, nuovo e individuale, è moscia. 

Soprattutto in questo film di americani diversi che vivono vite parallele in città diverse che misurano diversamente il successo non si riesce mai a trovare una lettura delle due espressioni delle diverse anime americane: quella moderna disinibita, in carriera e spregiudicata degli appartamenti di New York contrapposta a quella della ville familiari di Los Angeles, piene di socialità con gli amici che vivono in giardino, in cui il benessere si misura in orizzontale e non in verticale.

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