Da me o da te, la recensione
Non c'è una vera idea in Da me o da te, ma la copia di altri spunti. Così tutta la parte formulaica è sola abbandonata alla sua genericità
La recensione di Da me o da te, il film in uscita su Netflix il 10 febbraio
Da me o da te ha gli attori giusti (più Reese Witherspoon che Ashton Kutcher), ha l’ambientazione giusta e i comprimari giusti (Tig Notaro e Jesse Williams) ma il soggetto più fiacco. Un uomo e una donna vivono una notte di sesso da giovani e poi per venti anni sono amici a distanza, al telefono. Quando il film inizia uno è lo scapolo ricco con velleità da romanziere, l’altra una mamma concentrata solo a fare la mamma. L’esigenza di lei di andare in un’altra città per lavoro spinge l’amico a fare qualcosa, muoversi e badare al figlio di lei consentendole di partire. Staranno ancora a distanza ma a ruoli invertiti (ora è lei a vivere nell’appartamento di design di lui e lui a fare il padre).
Soprattutto in questo film di americani diversi che vivono vite parallele in città diverse che misurano diversamente il successo non si riesce mai a trovare una lettura delle due espressioni delle diverse anime americane: quella moderna disinibita, in carriera e spregiudicata degli appartamenti di New York contrapposta a quella della ville familiari di Los Angeles, piene di socialità con gli amici che vivono in giardino, in cui il benessere si misura in orizzontale e non in verticale.