Da grandi, la recensione

RIprendendo il quasi omonimo film con Renato Pozzetto, Da grandi è la punta più bassa del cinema di Fausto Brizzi

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Da grandi, il nuovo film di Fausto Brizzi, dal 28 giugno disponibile su Prime Video

Il cinema di Fausto Brizzi è finito. Morto. Non che arrivi come una notizia ma ora lo si può dire per certo (almeno fino a un’auspicata resurrezione) con Da grandi. Gradualmente negli ultimi 6 anni, ad ogni nuovo film, qualcuna delle caratteristiche che avevano contraddistinto i suoi film migliori veniva a mancare, si sfaldava un pezzo della sua tecnica, veniva accantonata una tematica, una piccola ossessione o un brandello della visione di mondo che l’avevano reso (quasi 20 anni fa) una promessa del cinema commerciale italiano. Con questo film muore anche la sua capacità di lavorare gli interni, creare scenografie, costumi e manovrare la fotografia per dare a tutto un look coerente e personale. È il look degli interni fumettoso all’italiana che ha caratterizzato la commedia degli ultimi 15 anni (massacrato, distrutto e banalizzato) e in cui ora nemmeno lui crede più.

In Da grandi, remake del film con Renato Pozzetto del 1987, non solo non c’è più quell’idea visiva, ma mancano (come da tempo avviene) l’uso della musica non originale di Brizzi, manca la direzione degli attori, manca la scrittura agile e ritmata e la regia con un po’ di voglia di dirigere. E infine viene a mancare simbolicamente anche il suo sapersi rifare a modelli americani con una buona capacità di adattarli a storie e ritmi italiani. Già Da grande era un tipo di film all’americana (in America uscì Big con Tom Hanks solo l’anno successivo) e Da grandi non ha più nemmeno quello.

Lungo questo film che ripercorre gli eventi dell’originale moltiplicandoli per adattarli a 4 protagonisti (cioè 4 bambini che diventano grandi di colpo invece che uno solo) ci saranno momenti sconfortanti con una tale quantità e regolarità da far pensare all’intenzionalità. Sgridato dal padre il più protagonista dei bambini avrà un momento di pianto da recita delle elementari (lo sappiamo che il livello medio di recitazione dei bambini italiani è terribile ma qui manca proprio la cura della scena e anche solo un tentativo di farla venire bene); un montaggio delle buone azioni dei bambini ormai grandi è accompagnato da una canzone originale cantata dai bambini stessi che dice “Siam piccoli ma bravi!”; in chiusura una parte d’azione e inseguimento in auto con green screen ha in sottofondo una musichetta simpatica che stende anche i più forti e allenati.

È proprio cinema da piattaforma, nel senso più becero, il diretto erede dello straight to video a sua volta erede dei film tv, operazioni a bassissimo tasso di cinema e altissima ricerca di consenso e gusti del pubblico. E in quello, se vogliamo, forse è anche riuscito. A noi non resta che constatare il decesso del cinema di Fausto Brizzi, che fu un cineasta che il gusto del pubblico invece di inseguirlo sapeva prevederlo e orientarlo.

Continua a leggere su BadTaste