Cyber Hell: indagine su un inferno virtuale, la recensione

Perseguend la logica della costante messa e ri-messa in scena, Cyber Hell rielabora con un linguaggio contemporaneo e nuovi mezzi vecchi formati

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La recensione di Cyber Hell: indagine su un inferno virtuale, su Netflix dal 18 maggio

Come il più ordinario dei format true crime televisivi (quelli di non fiction da canali tematici, su storie vere e molto spettacolarizzate di serial killer), il documentario di Choi Jin-sung Cyber Hell: indagine su un inferno virtuale ha una chiara missione informativa e di intrattenimento da compiere: raccontare un fatto reale attraverso il doppio binario dell’indagine e delle dinamiche criminali e, insieme, creare tutto un apparato visivo ed enfatico che tenga agganciato lo spettatore.

Riuscendo da manuale in entrambi i compiti, Cyber Hell racconta con tanta tensione da puro crime e poca enfasi melodrammatica (rifiutando così lo spirito generalista di tali format) l’inchiesta di un gruppo di giornalisti coreani sul caso locale delle Nth rooms di Telegram,ovvero chat dove ragazze e ragazzine (spesso minori) venivano ricattate in cambio di contenuti pornografici e derisori. A caccia di Baksa, “Il dottore” e di GodGod, creatori e gestori di tali chat, i giornalisti e la polizia mettono insieme tracce digitali e indizi reali per associare quei nickname a dei volti umani e consegnarli finalmente alla giustizia. 

Cyber Hell ricostruisce la vicenda cronologicamente, e tra interviste e ricostruzioni persegue come suo core tematico quella perturbante tensione che lega - tramite un vero e proprio mistero, tutto da risolvere - identità digitali e identità reali, apparentemente inconciliabili, tragicamente deludenti (e per questo in certa misura affascinanti) nel momento della rivelazione. La struttura documentaria fin da subito pone chiaro il suo intento di essere però una pura operazione di detection che, pur aprendosi a qualche riflessione, è più di ogni cosa interessata e sbrogliare i fili di un intreccio.

Decisamente televisivo come provenienza, Cyber Hell è però altamente cinematografico nel suo look: una commistione che in un certo senso sembra confermare la volontà di Netflix di ricercare l’alta qualità produttiva applicandola però a prodotti più da palinsesto che da library. Le interviste sono infatti realizzate in location evocative, illuminate non come background anonimi ma come veri e propri set, con dovizia di dettagli scenografici; e non da meno sono le scene di ricostruzione, interpretate da attori e senza dialoghi, usate per dare consistenza visiva alle parole degli intervistati e rendere più immersivo il racconto. 

Perseguendo quindi la logica della costante messa e ri-messa in scena (per esempio usando animazioni grafiche per evocare ma anche per ricostruire minuziosamente spostamenti digitali e conversazioni), Cyber Hell rielabora con un linguaggio contemporaneo e nuovi mezzi vecchi formati, riuscendo a raccontare una storia locale con uno spirito globale. Un esempio perfetto di come si applica la linea editoriale di Netflix.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Cyber Hell: indagine su un inferno virtuale? Scrivetelo nei commenti!

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