Cyber Hell: indagine su un inferno virtuale, la recensione
Perseguend la logica della costante messa e ri-messa in scena, Cyber Hell rielabora con un linguaggio contemporaneo e nuovi mezzi vecchi formati
Come il più ordinario dei format true crime televisivi (quelli di non fiction da canali tematici, su storie vere e molto spettacolarizzate di serial killer), il documentario di Choi Jin-sung Cyber Hell: indagine su un inferno virtuale ha una chiara missione informativa e di intrattenimento da compiere: raccontare un fatto reale attraverso il doppio binario dell’indagine e delle dinamiche criminali e, insieme, creare tutto un apparato visivo ed enfatico che tenga agganciato lo spettatore.
Cyber Hell ricostruisce la vicenda cronologicamente, e tra interviste e ricostruzioni persegue come suo core tematico quella perturbante tensione che lega - tramite un vero e proprio mistero, tutto da risolvere - identità digitali e identità reali, apparentemente inconciliabili, tragicamente deludenti (e per questo in certa misura affascinanti) nel momento della rivelazione. La struttura documentaria fin da subito pone chiaro il suo intento di essere però una pura operazione di detection che, pur aprendosi a qualche riflessione, è più di ogni cosa interessata e sbrogliare i fili di un intreccio.
Perseguendo quindi la logica della costante messa e ri-messa in scena (per esempio usando animazioni grafiche per evocare ma anche per ricostruire minuziosamente spostamenti digitali e conversazioni), Cyber Hell rielabora con un linguaggio contemporaneo e nuovi mezzi vecchi formati, riuscendo a raccontare una storia locale con uno spirito globale. Un esempio perfetto di come si applica la linea editoriale di Netflix.
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