La Cura Dal Benessere, la recensione

Il ritorno di Gore Verbinski all'horror è una gonfiatissima avventura piena di buchi, La Cura Dal Benessere non riesce a fare niente di quel che vorrebbe

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Inizia e finisce come un cartone animato La Cura Dal Benessere, prima immerso in un molto metaforico e molto “disegnato” mondo della finanza, tutto chiuso in una palette limitata di colori che variano poco tra il bianco e il grigio, tutto solitudine e anonimità, poi con uno showdown “mostruoso” che sembra uscito da una qualsiasi puntata di un cartone animato per la tv.
In mezzo il film ha tutto un altro tono in realtà, è un thriller d’ambientazione gotica, così pomposo e fiero di sé, così determinato a risultare “ricco” da affaticare tantissimo la narrazione. La dimostrazione più evidente sta nella sua durata di 150 immotivati minuti.

Un rampollo di una grossa società di finanza viene spedito in una clinica in Europa per recuperare l’amministratore delegato che, autoricoveratosi lì, ha mandato una lettera in cui dice che non intende più tornare. Peccato che gli affari lo reclamino: serve la sua firma per una fusione. La clinica è come l’Hotel California “you can check in anytime you like but you can never leave” e una volta entrato anche solo per chiedere di parlare con il suo capo anche il protagonista diventerà suo malgrado un paziente.
Dane DeHaan è tutto ciò che tiene in piedi il film ma anche lui, con il suo portamento e la sua aria determinata, con il suo volto poco convenzionale e la sua maniera di dare gravità ad ogni cosa dica, non riesce a protrarre il miracolo per più di un’ora.

Quando sarebbe ora di tendere i nodi La Cura Dal Benessere cincischia, troppo innamorato dei suoi corridoi da gotico ottocentesco, dei suoi macchinari d’altri tempi e dal senso d’inquietudine che questo scenario riesce a comunicare. C’è nel film un numero di stanze e scenari diversi che pare non finire mai, come fossimo destinati a seguire il protagonista in un continuo esplorare ed essere beccato. Inspiegabilmente riportato in stanza ma mai davvero sorvegliato, attirato da certi elementi che ci vorranno decine e decine di minuti a svelare (perché siamo costretti a vedere accadere due-tre volte le cose prima che si decida ad indagarle è un mistero) e infine inspiegabilmente lento nel ribellarsi, quello di La Cura Del Benessere è un protagonista dai movimenti e dalle decisioni funzionali alla durata extralarge.

Non è qui in questione l’abilità di Verbinski ma semmai lo spirito che anima questo film. Ben lontano dal suo vero stile e dalla sua vera capacità di spaventare (The Ring era l’esatto opposto, così dritto e asciutto, finalizzato ad un gran finale), qui Gore Verbinski sembra applicare la cura “Pirati dei Caraibi” ad un film che non ha niente a che vedere con questo. Con un intento di satira nei confronti della società dei consumi e del vivere moderno, chiaro ma al tempo stesso così velleitario e generico da risultare convenzionale oltre ogni possibile sopportazione (non è tanto la tesi esposta quanto la pretesa che possa essere argomentata in modo così pigro ed essere comunque accettabile). La dilatazione a dismisura utile a mostrare, esplorare e raccontare lo scenario più che l’intreccio sfociano in una noia insostenibile che nemmeno le molte anguille, i molti cadaveri, le torture riescono a risvegliare.

Continua a leggere su BadTaste