Crypto Boy, la recensione

Dentro a Crypto Boy c'è il cinema più tradizionale senza nessuna voglia di farci qualcosa di valevole, solo ripetere luoghi comuni

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Crypto Boy, il film di Netflix in uscita il 19 ottobre

C’è in Crypto Boy qualcosa che non possiamo immaginare ancora prima di iniziare il film? No. C’è qualcosa che si svolge diversamente da come diremmo? No. Questo non è quel tipo di film che vuole sorprendere, questo è un film scritto a tavolino per rispettare tutte le regole dell’ascesa e caduta morale, un film che insegni una bella lezione a tutti i giovani che pensano di poter avere tutto e subito e che nella vita non sia necessario il duro lavoro e l’impegno per raggiungere i propri obiettivi. Non ci sono scorciatoie. Nossignore! E queste tecnologie digitali sono tutto fumo e niente arrosto. Tutto il film ha la propria bussola morale ben salda, sa cosa sia giusto e cosa sbagliato, chi siano i cattivi e chi i buoni, in una trama di modernità dal sapore antico. Un cavallo di troia per vecchie idee.

C’è un ragazzo in cerca di piccole truffe e modi per fare soldi veloci e senza fatica, figlio sfaccendato di un padre che invece ha fatto del lavoro nel suo negozio il perno della sua esistenza in Olanda, il paese che l’ha adottato. Solo che ora questo negozio dovrebbe andare al figlio che disprezza per la sua ignavia e che proprio per questo vede in un guru delle criptovalute una possibile via d’uscita dalla sua povertà e un riscatto agli occhi del padre. Porterà a casa i primi soldi in fasci di banconote, per impressionare, metterà a rischio i soldi di tutti i parenti, attirerà chi gli orbita intorno con la promessa di soldi facili fino a che non gli crollerà addosso tutto.

Quando si fa una scelta di questo tipo, quando cioè si decide di applicare la struttura della sceneggiatura classica americana senza nessuna variazione, è perché sì conta sulla fattura. Crypto Boy è girato con buona mano e recitato molto bene, tuttavia non è il frutto di mille film americani, non è cioè un prodotto industriale che riesce a muoversi nei meandri di quella struttura rigida e tirare fuori microvariazioni che ci parlino del presente, che creino un secondo livello. È tutto primo livello, è effettivamente il suo intreccio e la sua morale scarna. Ancora peggio, è un film olandese mascherato da americano che non riesce a trovare una sua identità ma, come certi rapper europei, la ruba in toto a qualcun altro. E si fa fatica a credere come in quella confezione Netflix, con quella fotografia plumbea e fluo al tempo stesso e quel montaggio innocuo e piatto (tutto con lo stesso ritmo) da tv sonnecchiosa, si possa annidare qualcosa di così tradizionale e privo di sfumature. Ma tant’è.

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