Cruel Peter, la recensione

Nell'unire la tradizione del giallo, il folklore meridionale, il terremoto di Messina e i fantasmi Giapponesi Cruel Peter si dimentica di far paura

Critico e giornalista cinematografico


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Il vero fantasma di Cruel Peter, la presenza ingombrante che aleggia, è il terremoto di Messina. Un evento traumatico attorno al quale non si era mai costruito un horror (almeno non uno di questo tipo) e avrebbe avuto grandi possibilità non fosse trattato nella maniera più grossolana, con la gravitas della cronaca e del documento storico, invece che con la furba malizia dell’evento apocalittico, ovvero più in linea con la mitologia messa in piedi dal film.

Cruel Peter si gioca tutto tra passato e presente sia nella trama che nella messa in scena perché oscilla tra elementi classici del giallo italiano (il doppiaggio, il bambino malvagio vestito da primi novecento, la ragazza sorda e le comparse molto caratterizzate) e stilemi horror contemporanei tra America e Giappone. Li fonde insieme ma senza la giusta vivacità. È evidente che Christian Bisceglia e Ascanio Malgarini (al secondo horror insieme) hanno visto i film di paura, li conoscono e li hanno assimilati, ma in nessun momento sembrano padroneggiarne i segreti, quel set di strumenti che consente di coinvolgere in un’atmosfera nella quale tutto può accedere e lo spettatore sospetta solo il peggio.

Il problema di questa storia in cui c’è un bambino sadico ad inizio ‘900 e un archeologo nel presente la cui figlia sorda sblocca una maledizione, risveglia presenze e finisce per essere protagonista del male, è che sembra non divertire le stesse persone che l’hanno scritta e realizzata. In tutto Cruel Peter sembra non esserci il godimento della paura, quel sottile senso di piacere nell’incutere timore e assaporare i piccoli dettagli che fanno sobbalzare il pubblico. Così nonostante gli eventi siano parecchi come anche i capovolgimenti, lo stesso regna la noia. Cruel Peter sembra dover mettere paura per lavoro, con la meccanica correttezza di un professionista che ha perso il coinvolgimento in quel che fa.

La trama si trascina tra intrighi e sorprese, senza avere la ferma decisione verso il suo obiettivo e anche la contaminazione tra i capelli sporchi e la pelle nera dei fantasmi nipponici (quelli che si avvicinano alle orecchie delle vittime per urlarci dentro) trasferita in Italia funziona solo all’inizio. Addirittura anche la presenza di Aurora Quattrocchi (la più caratterista tra le caratteriste siciliane) in qualità di anziana medium, punto di contatto con la tradizione animistica e folkloristica, è abbastanza sprecata nonostante suonasse subito come una buona idea.
Quel che Cruel Peter riesce a dimostrare, alla fine, è che è possibile fare un horror in tutto e per tutto corretto che non riesce mai ad appassionare o anche solo spaventare.

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