Crudelia, la recensione

Scritto con molta pigrizia ma messo in scena con gran ritmo, Crudelia distrae da tutti i suoi problemi con la musica

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Crudelia, la recensione

Le lenti attraverso le quali la Disney racconta il mondo sempre di più sono 2: l’inclusività, cioè la predisposizione a dare conto in una storia di finzione della reale composizione della società, senza nascondere le minoranze e senza prediligere un sesso sull’altro; il linguaggio e la struttura dei cinecomic. Non stupisce quindi di trovare in Crudelia da una parte un’ampia considerazione di tutte le etnie della Londra degli anni ‘70 al pari di personaggi più pretestuosamente inclusivi, come l’inutile sarto personale truccato come David Bowie, dall’altra un brano come Smile di Jimmy Durante, canzone legata strettamente all’ultimo Joker cinematografico e alla sua follia.

Crudelia, anzi Cruella, anzi Estella (vero nome), è una bambina orfana che impara a vivere da sola con due compari (Gaspare e Orazio, qui Jasper e Horace) nella Londra di metà anni ‘70. È una ribelle a cui non va bene niente, ha una passione per la moda e confeziona da sé gli abiti con cui, con i compari, inscena i furti con cui campa. Il sogno è di lavorare per la famosa stilista La Baronessa, il cattivo ancora più cattivo che le viene affiancato per fare di lei una protagonista (Emma Thompson impeccabile ma modalità copia della copia di Il diavolo veste Prada). Quando riuscirà ad arrivare al suo atelier però inizia a capire che il suo destino è un altro ancora, più grande.
Su tutto regna il dualismo dei supereroi (e il loro rapporto sempre cruciale con i genitori). Estella quando è buona, con i capelli tinti per nascondere il doppio colore naturale; Cruella quando è la cattiva, spietata e cinica figura misteriosa della moda che irrompe con provocazioni dadaiste e non solo. Cruella può tutto, Estella invece lavora come sarta e creativa. Una è la versione super dell’altra. Una fa dei costumi la sua cifra e nessuno sa chi sia, l’altra è una Clark Kent di cui nessuno sospetta. Alla fine ci sarà anche il team, la squadra rodata.

Spin-off sulla scia di Maleficent (di cui mantiene il nome originale della protagonista, anche se per il titolo è stata fatta un’eccezione), Crudelia come spesso capita è una storia che niente ha a che vedere con la proprietà intellettuale cui fa riferimento. Nonostante i ganci ci siano tutti, così come i personaggi e i riferimenti (maniacali, piccoli e onnipresenti pronti per il sequel), è chiaramente una storia autonoma che poteva esistere al di fuori del mondo di La carica dei 101 ma che per avere la grandezza, il richiamo e l’eco che deve possedere, necessita di appartenere a quel brand. Non è insomma il segno della “fine delle idee” ma anzi un’idea originale a cui è stata data l’etichetta di qualcosa di noto per renderla vendibile nel contesto odierno.

E vendibilità è proprio il punto di un film estremamente ordinario, molto pigro e decisamente poco curato per quanto riguarda la scrittura che tuttavia compensa tutto con il montaggio, anche troppo! I suoi molti  problemi di sceneggiatura Craig Gillespie li vuole tamponare a colpi di ritmo (abbastanza indiavolato) e musica. Anche gli eventi e le situazioni più comuni sono coperti da una patina ribelle e ideologica che non appartiene ai fatti ma è presa in prestito dai brani musicali che li accompagnano (un tappeto non coerentissimo dal punto di vista cronologico che spazia dal ‘67 a fine anni ‘70 attraverso stili molto diversi, che tuttavia è fatto di classici che fanno il loro dovere). In realtà Cruella, così insofferente agli ordini e all’ordine, sogna un futuro molto inquadrato, sogna il successo commerciale e non di sovvertire il sistema.

Ma per l’appunto la forza che non ha il film la chiede in prestito ai Queen ai Blondie a Ike & Tina Turner e ai Bee Gees.

Trovandola.

Il vero problema che Crudelia fatica a risolvere purtroppo è quello della protagonista. Non solo il dualismo tra Estella e Cruella è gestito male (non è chiaro da dove venga, non è chiaro perché esista, solo che ad un certo punto si manifesta perché sì), ma proprio Emma Stone, buona come Estella (le sue note di commedia la aiutano tantissimo), fatica ad essere Cruella. Non ha il fisico per avvicinarsi a quella scheletrica follia del personaggio originale (grande come stazza ma solo con indosso la pelliccia, in realtà sotto tutta ossa come la morte), non ha la malignità negli occhi, non ha la credibilità del cinismo.
È un merito del film il fatto che riesca ad essere piacevolissimo lo stesso. Ma viste le premesse e le potenzialità si poteva fare di più.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Crudelia? Scrivilo nei commenti

Continua a leggere su BadTaste