Crimson Peak, la recensione

Impeccabile nella messa in scena ma debole nella storia, la parte migliore di Crimson Peak purtroppo non è farina del sacco di Del Toro

Critico e giornalista cinematografico


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Se una cosa come la “mossa Tim Burton” esistesse si potrebbe dire che è quello che Guillermo Del Toro ha tentato in Crimson Peak. Nel suo nuovo film, finalmente personale e finalmente in linea con ciò che di meglio ha saputo esprimere, il regista messicano riprende il tipo di storie che ama di più, quelle in cui il paranormale aiuta, sospinge e accompagna un intreccio molto reale. Non ci sono grandi fatti storici a fare da sfondo stavolta come in La Spina del Diavolo o Il Labirinto del Fauno, ma pura finzione lovecraftiana: primi novecento di paura, edifici gotici e la buona società.

La trama è quella di un triangolo tra due fratelli dal misterioso agire e un’ereditiera in cerca d’amore, ma non è lì il fine ultimo del film, come spiega bene già il titolo che porta il nome del luogo in cui ci spostiamo verso a metà della storia, il Crimson Peak in cui i fratelli possiedono una magione da cinema dell’orrore, un castello gotico fatiscente che non hanno i soldi per rimettere a posto e che sorge su una cava di argilla rossa nella quale sta sprofondando (ci vorrebbe proprio qualcuno con dei soldi per rimetterla a posto....).

L’idea vera del film dunque è proprio quest’ambientazione (non certo il triangolo sentimentale), è quest’edificio che in certi momenti trasuda argilla rossa che pare sangue denso (non certo i dolori di Mia Wasikowska) ed infine è il rapporto che la protagonista stringe con i fantasmi che popolano il luogo.

Un cineasta che è bravissimo a generare immagini ma stavolta annoia con la storia

Perchè ovviamente ci sono i fantasmi in Crimson Peak, presenze orrende, scheletriche e spaventose che si contrappongono alla bellezza dei fratelli proprietari della casa. I fantasmi sono brutti, mostruosi e nascosti mentre i fratelli Tom Hiddleston e Jessica Chastain si presentano in società belli e ben vestiti. Il fatto che ben presto capiremo come il mondo deviante, strano e respingente, che non ha nulla di per bene e addomesticato sia quello positivo, mentre il mondo che si conforma vuole somigliare agli altri e cura il proprio aspetto per sembrare affidabile sia quello meschino di cui diffidare, è la “mossa Tim Burton”. Questo sovvertimento è la parte migliore di un film altrimenti molto moscio (addirittura pessimo se si considera chi è e di cosa è capace il suo autore) ma non appartiene a Guillermo Del Toro, è la pietra ideologica su cui un altro regista ha fondato tutta la parte migliore della propria carriera.

Che il male si annidi proprio nelle parti più presentabili e attraenti dell’umanità mentre il paranormale, proprio nel suo essere spaventoso ma genuino, raccapricciante ma onesto, esprima invece i valori più ragionevoli e positivi, è il concetto che il film esprime meglio, con convinzione e proprietà di linguaggio filmico da parte di un cineasta che è bravissimo a generare immagini ma stavolta annoia con la storia. In quella fantastica ambientazione che davvero pare viva (è un clichè, la casa che è un personaggio, ma stavolta è così) non si trova però niente di interessante e le dinamiche tra irreale e reale, tra orrido e ripulito di Crimson Peak in nessun caso tutto possono essere considerata farina del sacco di Guillermo Del Toro. Quello che quest’autore ha da dire sul cinema e sui rapporti è rimasto tutto negli altri titoli della sua filmografia.

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