Credo a Babbo Natale, la recensione

Con una produzione che "svelta" è dire poco, Credo a Babbo Natale fa il lavoro minimo eppure qualcosa di particolare e unico lo ha

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Credo a Babbo Natale, in uscita il 15 dicembre su Netflix

Ci sono film di Natale che sono operazioni da catena di montaggio, prodotti da professionisti della produzione di massa, esperti della scrittura e regia di film di Natale, cinema di serie B non diverso da Sharknado o Mega Shark Versus Crocosaurus, solo con il Natale al posto delle creature giganti. Credo a Babbo Natale è esattamente questo, opera di John Ducey (che scrive ma anche interpreta) e Alex Ranarivelo, il terzo film di Natale della coppia solo quest’anno. Dire che è scritto e interpretato “alla svelta” è un eufemismo. Dura 89 minuti.

La storia come sempre ha solo lo spunto: un uomo e una donna sufficientemente adulti perché lei abbia una figlia di circa 8 anni, ed entrambi single, si incontrano in un evento natalizio e iniziano a frequentarsi. Lei non ama il Natale, lui è appassionato di addobbi e dopo qualche uscita salta fuori il dettaglio svelato dal titolo, cioè che lui, avvocato di professione e adulto, crede a Babbo Natale. Sgomento e un po’ di repulsione si fanno strada dentro di lei ma l’amore farà il suo corso dimostrando che un po’ di fiducia in qualcosa è una virtù.

È evidente da subito che questo film è un’operazione atletica, che lo spunto è veramente solo tale e tutta la prestazione dei coinvolti consta nel riuscire ad arrivare all’89esimo minuto contando solo con quello spunto lì, allungandolo, distorcendolo, allargandolo e ricamandoci sopra fino a che non si fa l’ora per far partire i titoli di coda. Lo stesso, nonostante l’insipienza generale, va ammesso che Credo a Babbo Natale, anche solo tangenzialmente e anche solo per errore, riesce a mettere sul tavolo un’idea interessante sugli stereotipi di gender. 

Questo avvocato con la sua credenza infantile propone un modello di mascolinità diverso dalla media (di questi film) ad una donna che invece è molto in linea con i modelli femminili delle commedie romantiche. È un uomo (secondo il film) alla fine desiderabile nonostante non abbia caratteristiche di virilità palesi o nascoste ma anzi punti tutto sul suo opposto, su una certa sfigata tendenza agli addobbi e su una fiducia in qualcosa che proprio identifica i bambini e a cui si smette di credere una volta cresciuti.

Continua a leggere su BadTaste