Creature di Dio, la recensione

Tutto in Creature di Dio passa per Emily Watson, mentre la trama accade noi guardiamo sempre lei e lo facciamo da una posizione particolare

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Creature di Dio, il film con Emily Watson in uscita al cinema dal 4 maggio

La storia di Creature di Dio è semplicissima. Un figlio torna nel villaggio di pescatori da cui era andato via tempo prima (per vivere in Australia!), la madre che non lo sente e non lo vede da anni è piena di gioia anche se Emily Watson (che la interpreta) già in quel momento iniziale trattiene tutto il trattenibile, come poi farà per il resto del film. Questo ritorno, lo capiamo subito, non andrà a finire bene e la madre dovrà rivedere cosa pensa del figlio e cosa prova per lui. È quindi la storia di una madre che gli eventi portano a smettere di essere una madre. Creature di Dio è pensato per lei, per quel personaggio, tutti i fatti che presenta non la riguardano eppure il film osserva solo lei e lascia che le sue espressioni guidino la vera narrazione, non quella degli eventi ma quella del cambiamento interiore della donna. Difficilissimo e abbastanza riuscito.

In Creature di Dio a contare è il clima plumbeo che regna su questi luoghi irlandesi fin dall’inizio, fin da prima del ritorno del figlio, è la cattiveria umana degli uomini di quella famiglia, maneschi e muti, è la disperazione delle fabbriche, delle reti, delle coltivazioni e contano i silenzi dentro i quali Saela Davis e Anna Rose Holmer (le registe) impongono Emily Watson come osservatrice. Ad un certo punto infatti, ben presto nella trama, la polizia convoca la madre per chiedergli conto di una dichiarazione del figlio. Lui ha detto di essere stato con lei nella notte in cui è accusato di violenza contro un’altra donna, sua ex fidanzata. La madre lo difende senza pensarci nemmeno e gli fornisce l’alibi, da quel momento cambia il suo ruolo, inizia il processo di mutamento di considerazione del figlio e diventa un’osservatrice del mondo che la circonda. E il film cambia con lei. Cambia lo sguardo, cambia quello che noi associamo a quelle stesse immagini, diventano ancora di più immagini di violenza, sopraffazione e istinto animale.

Ancora più peculiare e stimolante è il punto in cui Creature di Dio mette gli spettatori, non nelle scarpe di Aileen (la madre) come sarebbe scontato immaginare, quanto accanto a lei come un marito amorevole (che lei decisamente non ha) che la osserva e sorveglia, preoccupato per quello che le sta accadendo, in tensione per come potrà andare a finire questo mutamento interiore. La recitazione di Emily Watson, colpevole e sempre un po’ dimessa, non va esattamente per il sottile, non lascia ambiguità e annuncia tutto quel che verrà fin dal primo primo piano. Ma è indubbio che dentro la grossolana esagerazione di un essere umano costantemente preoccupato e affranto, sia quando ne ha ragione che quando non ne ha, lei trovi tantissime sfumature e riesca a raccontare un passaggio gigantesco. Quello da madre innamorata del figlio, a suo principale nemico.

Il figlio è interpretato da Paul Mescal, oggi attore lanciatissimo ma all'epoca delle riprese di Creature di Dio (che è stato presentato un anno fa al festival di Cannes, dove ebbe la sua premiere anche Aftersun), noto solo per la serie tv Normal People. Nonostante sia un personaggio centrale, lo è solo per la maniera in cui ha un effetto sulla vera protagonista, la sua è una parte molto decisa e che non necessita grandi sfumature. L'intelligenza, più che nell'interpretazione, sta tutta nell'aver scelto proprio lui, che in quel momento aveva stampata addosso l'immagine del bravo ragazzo, l'attore che il pubblico di riferimento ad inizio film guarda con gli stessi occhi della mamma.

Puerile e da saggio finale di scuola di cinema invece tutta la pretesa di raccontare questo passaggio attraverso l’enfasi sui suoni ambientali e le tante vicende ordinarie che avvengono intorno a lei ma che ora lei riconduce al dissidio che sta vivendo. Molto di Creature di Dio si basa su quel genere di soluzioni di regia ambiziose e al tempo stesso facili, che funzionano più idealmente e teoricamente che poi nella pratica. L’unica a fare la differenza in tutto il film è Emily Watson, solo lei lo indirizza e fino a che Creature di Dio si affida a lei ha un senso: è la storia di come basti un evento, grande e importante a fare cambiare la maniera in cui guardiamo la realtà e quello, il mutamento di visione, è ciò che cambia cuori e coscienze.

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