Cratere, la recensione
Crater di Kyle Patrick Alvarez è talmente preso a cercare l’effetto magone con la storia del bambino orfano che si dimentica di fare world-building, di creare una premessa e un mondo finzionale credibili in cui poter dare luogo alla sua storia di intimismo adolescenziale.
La recensione di Cratere, disponibile su Disney+ dal 12 maggio
I protagonisti sono cinque pre-adolescenti che vivono sulla Luna da tutta la loro vita. Uno di loro, Caleb (Isaiah Russell-Bailey) è orfano di un minatore lunare e, in quanto tale, ha diritto ad essere trasferito su Omega. Andare su Omega significa farsi addormentare in un sonno criogenico di 75 anni, e così prima di dire addio ai suoi amici tutti insieme partono per un “road-trip lunare” - infrangendo le regole - per visitare un cratere di cui i suoi genitori gli avevano lungamente parlato prima di morire e dove Caleb spera di trovare un segreto sul suo passato.
Il fatto è che Cratere ci prova pure a dare indizi su temi più vasti che riguardano tale società (la disparità sociale, salariale), tra l’altro causa diretta della situazione in cui il protagonista si ritrova ad essere suo malgrado (doversene andare). Nonostante ciò il film si limita a farci vedere cinque ragazzini che fanno cose in un rover e poi in una casa abbandonata, flashback ridondanti che suonano posticci e un epilogo che invece si carica di un tono glorioso e malinconico all’Interstellar che proprio non gli appartiene e sembra vestirgli decisamente largo.
Insomma, calati in un mondo poco chiaro i cui i conflitti sono solamente abbozzati, questi cinque protagonisti faticano a parlare veramente a chi guarda se non per stereotipi narrativi, battute e situazioni viste e riviste. Sostituendo Omega a un posto lontano, e la Luna alla Terra, la storia non sarebbe cambiata di molto. Di fantascientifico e originale, quindi, qui c’è ben poco.
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