Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, cara celeste nostalgia - Recensione
La nostalgia basta? La risposta nella recensione di Crash N. Sane Trilogy
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[caption id="attachment_165447" align="aligncenter" width="600"] Giocate oggi alcune aree danno quasi la sensazione di claustrofobia[/caption]
Spiegare cosa fu Crash Bandicoot per i fan Sony nel 1997 è molto difficile, un po’ perché la rivalità fra produttori di hardware, per quanto infiammata ha perso i tratti epici di un tempo (chi ricorda la mitica pubblicità SEGA does what Nintendon’t?), un po’ perché il concetto di mascotte s’è perso almeno un paio di console war fa, quando i fan di Sonic accettarono il supremo oltraggio del vedere il loro personaggio preferito sulle console di Kyoto. Crash fu l’ultimo esponente di quel modo d’intendere i videogiochi, un piccolo mondo antico dove un idraulico italiano sfidava un porcospino blu che, a sua volta, era diventato più famoso di Topolino. Sony, all’epoca appena novizia nel vasto mare del gaming, desiderava disperatamente un personaggio che potesse, almeno in parte, competere con i due pesi massimi giapponesi: ci provò con qualche successo Croc, poi altri nomi meno conosciuti, ma nessuno riuscì mai a entrare nei cuori degli appassionati. Con Crash tutto fu diverso, il personaggio creato dagli allora sconosciuti Andy Gavin e Jason Rubin aveva personalità. Le mossette, lo stile scanzonato e, in generale il feeling dell’intero gioco, erano lontanissimi sia dall’ingenuità quasi parrocchiale di Mario che dalla coolness esagitata di Sonic. Moderno, ironico, in esclusiva su PlayStation, forse Sony aveva davvero trovato il suo portabandiera.
[caption id="attachment_174919" align="aligncenter" width="600"] I giochi inclusi nella collection sono, a tutti gli effetti, platform 2D[/caption]
La N. Sane Trilogy arrivata in questi giorni sugli scaffali è un’elegia di quello che Crash Bandicoot fu all’apice della sua popolarità ma, tristemente, dimostra senza pietà alcuna come tutti i germi della sconfitta fossero più che evidenti già nella sua primissima avventura. Espunta la dimensione tecnica, su cui vanno fatto degli enormi complimenti a Vicarious Visions per aver ricostruito con un’operazione filologica che non ha precedenti nel settore del gaming tre giochi quasi totalmente perduti, il gameplay di Crash era difettoso nel 1997 e lo è ancora oggi. Il nostro peramele preferito attraversa giungle, ghiacciai, città in rovina e laboratori fantascientifici con una rigidità che a fine anni ‘90 era appena appena scusabile (ma solo da chi non aveva mai giocato Super Mario 64) ma che oggi non accetteremmo manco nel peggior giochino gratuito per iPhone. I controlli ostici non sono necessariamente un difetto, FromSoftware ci ha costruito sopra l’intero genere dei soulslike, ma lo diventano quando, come accade in Crash, gli sviluppatori non sanno come integrare al meglio le classiche meccaniche da platform bidimensionale con il magico mondo dei poligoni.
"Crash era un gioco mediocre e afflitto da problemi strutturali quasi insanabili nel 1997 e lo è pure nel 2017, la nostalgia ce lo fa ricordare come una delle esperienze ludiche migliori della nostra vita ma, rigiocato oggi, vent’anni dopo, non riesce più a nascondere i suoi tanti difetti"Naughty Dog, all’epoca alla loro prima sperimentazione con la grafica tridimensionale, liberano i giocatori dalla gabbia dei binari preimpostati (Crash può muoversi su tre assi anziché su due soli) ma non gli concedono la gestione della telecamera, con risultati spesso disastrosi. In molti livelli è difficilissimo calcolare le distanze, impostare bene i salti o anche solo colpire un nemico prima che si avvicini troppo. Soprattutto nelle fasi più avanzate, quando i designer danno sfogo alla loro vena più crudele, capita di morire, morire e morire ancora prima di capire esattamente cosa il gioco voglia da noi. La situazione migliora, e pure di molto, passando dal primo Crash a Cortex Strikes Back fino a Warped - che, a oggi, rappresenta l’incarnazione più compiuta del personaggio - ma i problemi, seppur addolciti, rimangono sempre gli stessi. Crash era un gioco mediocre e afflitto da problemi strutturali quasi insanabili nel 1997 e lo è pure nel 2017, la nostalgia ce lo fa ricordare come una delle esperienze ludiche migliori della nostra vita ma, rigiocato oggi, vent’anni dopo, non riesce più a nascondere i suoi tanti difetti.
[caption id="attachment_174920" align="aligncenter" width="600"] E sono subito anni '90[/caption]
Questa trilogia vintage ha un valore, uno soltanto, ed è di marca spiccatamente culturale: serve a ricordarci come eravamo e quanta strada ha fatto Naughty Dog dalla prima PlayStation fino a Uncharted 4: Fine di un ladro. In questo senso Crash Bandicoot N. Sane Trilogy è un lavoro encomiabile, quasi un bigino di storia dei videogiochi che racchiude in un solo titolo tre pezzi importanti di quel periodo e quel mondo. Sul fronte smaccatamente ludico, invece, i giochi sono invecchiati male, molto male e riprenderli in mano adesso diventa un esercizio appassionante qualche retrogamer sfegatato ma che rischia di diventare respingente per chi è abituato a esperienze di altro tipo. Crash giocato oggi appare fuori tempo massimo, un figlio del passato che con dell’ottimo maquillage estetico vorrebbe riportarci a quando uscivamo da scuola con le mani sporche di Soldino del Mulino Bianco e ci attaccavamo per ore alla PlayStation. Non avremo mai più i videogiochi che avevamo a 12 anni. Ma, dopotutto, chi li ha?