Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, cara celeste nostalgia - Recensione

La nostalgia basta? La risposta nella recensione di Crash N. Sane Trilogy

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La nostalgia è una cosa bella, rende i ricordi più dolci e nasconde i piccoli o grandi dolori. Così gli anni del liceo diventano un irripetibile paradiso fatto di poche responsabilità e tanto divertimento, mentre quelli che allora sembravano drammi esistenziali - le picche dalla più carina della classe, un quattro in latino - si perdono fra le curve della memoria. Non possiamo farci nulla, è il nostro cervello a funzionare così: migliaia di anni d’evoluzione hanno permesso alla nostra mente di creare uno straordinario meccanismo difensivo, col passare del tempo le brutte esperienze, a volte addirittura i traumi, sbiadiscono; l’inconscio ci libera dagli ostacoli e fa in modo che l’esperienza appresa rimanga ma prova a depurarci dalla negatività assoluta.

Chi scrive, come buona parte di chi legge, ha incontrato i videogiochi da giovanissimo e oggi i titoli più anziani sono una specie di madelaine proustiana 2.0. Le sonorità 8 bit dei primi Super Mario Bros. mi riportano alle scuole elementari e alle partite giocate di nascosto insieme ai cugini più grandi mentre le simmetrie del GameCube sono legate per sempre allo studente nerd e un po’ sfigato delle superiori. Nessuno è immune da questo effetto, anche la personalità più arida nasconde un interruttore che fa scattare l’amarcord. La nostalgia però funziona solo in un senso: non ci permette di attualizzare quelle sensazioni, esse esistono solo in quello specifico momento della nostra vita, cristallizzate per sempre. Così, come la ragazzina che ci piaceva tantissimo a volte diventa una trentenne che non sopporteremmo manco per un caffé, anche i videogiochi rischiano, in un attimo, di frantumare anche i ricordi più belli.

[caption id="attachment_165447" align="aligncenter" width="600"]Crash Bandicoot N. Sane Trilogy screenshot Giocate oggi alcune aree danno quasi la sensazione di claustrofobia[/caption]

Spiegare cosa fu Crash Bandicoot per i fan Sony nel 1997 è molto difficile, un po’ perché la rivalità fra produttori di hardware, per quanto infiammata ha perso i tratti epici di un tempo (chi ricorda la mitica pubblicità SEGA does what Nintendon’t?), un po’ perché il concetto di mascotte s’è perso almeno un paio di console war fa, quando i fan di Sonic accettarono il supremo oltraggio del vedere il loro personaggio preferito sulle console di Kyoto. Crash fu l’ultimo esponente di quel modo d’intendere i videogiochi, un piccolo mondo antico dove un idraulico italiano sfidava un porcospino blu che, a sua volta, era diventato più famoso di Topolino. Sony, all’epoca appena novizia nel vasto mare del gaming, desiderava disperatamente un personaggio che potesse, almeno in parte, competere con i due pesi massimi giapponesi: ci provò con qualche successo Croc, poi altri nomi meno conosciuti, ma nessuno riuscì mai a entrare nei cuori degli appassionati.  Con Crash tutto fu diverso, il personaggio creato dagli allora sconosciuti Andy Gavin e Jason Rubin aveva personalità. Le mossette, lo stile scanzonato e, in generale il feeling dell’intero gioco, erano lontanissimi sia dall’ingenuità quasi parrocchiale di Mario che dalla coolness esagitata di Sonic. Moderno, ironico, in esclusiva su PlayStation, forse Sony aveva davvero trovato il suo portabandiera.

Per tutta l’era PSX Crash fu una sorta di nume tutelare della console della casa di Tokyo e, spesso, veniva proposto in contrapposizione a Super Mario 64, quasi a voler dimostrare che sì, Miyamoto forse aveva creato il più grande platform di tutti i tempi ma pure in casa Sony sapevano difendersi. All’epoca chi osava far notare che Mario, al contrario di Crash, poteva muoversi liberamente nel suo mondo tridimensionale, che Mario, al contrario di Crash, offriva decine e decine di abilità diverse o che Mario, al contrario di Crash, lasciava al giocatore il pieno controllo della telecamera, veniva tacciato di disfattismo. Avrà pure avuto ragione ma erano gli anni del trionfo di Sony sull’allora bolsa e arrogante Nintendo, bisognava rottamare Kyoto in nome della modernità. La storia ci racconta come finì la corsa: Mario è riuscito a non tradirsi (quasi) mai e oggi attendiamo tutti Super Mario Odyssey con un approccio quasi mistico, Crash, dopo tre titoli di buona fattura, s’è perso nel mare magnum della mediocrità.

[caption id="attachment_174919" align="aligncenter" width="600"]Crash Bandicoot N. Sane Trilogy screenshot I giochi inclusi nella collection sono, a tutti gli effetti, platform 2D[/caption]

La N. Sane Trilogy arrivata in questi giorni sugli scaffali è un’elegia di quello che Crash Bandicoot fu all’apice della sua popolarità ma, tristemente, dimostra senza pietà alcuna come tutti i germi della sconfitta fossero più che evidenti già nella sua primissima avventura. Espunta la dimensione tecnica, su cui vanno fatto degli enormi complimenti a Vicarious Visions per aver ricostruito con un’operazione filologica che non ha precedenti nel settore del gaming tre giochi quasi totalmente perduti, il gameplay di Crash era difettoso nel 1997 e lo è ancora oggi. Il nostro peramele preferito attraversa giungle, ghiacciai, città in rovina e laboratori fantascientifici con una rigidità che a fine anni ‘90 era appena appena scusabile (ma solo da chi non aveva mai giocato Super Mario 64) ma che oggi non accetteremmo manco nel peggior giochino gratuito per iPhone. I controlli ostici non sono necessariamente un difetto, FromSoftware ci ha costruito sopra l’intero genere dei soulslike, ma lo diventano quando, come accade in Crash, gli sviluppatori non sanno come integrare al meglio le classiche meccaniche da platform bidimensionale con il magico mondo dei poligoni.

"Crash era un gioco mediocre e afflitto da problemi strutturali quasi insanabili nel 1997 e lo è pure nel 2017, la nostalgia ce lo fa ricordare come una delle esperienze ludiche migliori della nostra vita ma, rigiocato oggi, vent’anni dopo, non riesce più a nascondere i suoi tanti difetti"

Naughty Dog, all’epoca alla loro prima sperimentazione con la grafica tridimensionale, liberano i giocatori dalla gabbia dei binari preimpostati (Crash può muoversi su tre assi anziché su due soli) ma non gli concedono la gestione della telecamera, con risultati spesso disastrosi. In molti livelli è difficilissimo calcolare le distanze, impostare bene i salti o anche solo colpire un nemico prima che si avvicini troppo. Soprattutto nelle fasi più avanzate, quando i designer danno sfogo alla loro vena più crudele, capita di morire, morire e morire ancora prima di capire esattamente cosa il gioco voglia da noi. La situazione migliora, e pure di molto, passando dal primo Crash a Cortex Strikes Back fino a Warped - che, a oggi, rappresenta l’incarnazione più compiuta del personaggio - ma i problemi, seppur addolciti, rimangono sempre gli stessi. Crash era un gioco mediocre e afflitto da problemi strutturali quasi insanabili nel 1997 e lo è pure nel 2017, la nostalgia ce lo fa ricordare come una delle esperienze ludiche migliori della nostra vita ma, rigiocato oggi, vent’anni dopo, non riesce più a nascondere i suoi tanti difetti.

[caption id="attachment_174920" align="aligncenter" width="600"]Crash Bandicoot N. Sane Trilogy screenshot E sono subito anni '90[/caption]

Questa trilogia vintage ha un valore, uno soltanto, ed è di marca spiccatamente culturale: serve a ricordarci come eravamo e quanta strada ha fatto Naughty Dog dalla prima PlayStation fino a Uncharted 4: Fine di un ladro. In questo senso Crash Bandicoot N. Sane Trilogy è un lavoro encomiabile, quasi un bigino di storia dei videogiochi che racchiude in un solo titolo tre pezzi importanti di quel periodo e quel mondo. Sul fronte smaccatamente ludico, invece, i giochi sono invecchiati male, molto male e riprenderli in mano adesso diventa un esercizio appassionante qualche retrogamer sfegatato ma che rischia di diventare respingente per chi è abituato a esperienze di altro tipo. Crash giocato oggi appare fuori tempo massimo, un figlio del passato che con dell’ottimo maquillage estetico vorrebbe riportarci a quando uscivamo da scuola con le mani sporche di Soldino del Mulino Bianco e ci attaccavamo per ore alla PlayStation. Non avremo mai più i videogiochi che avevamo a 12 anni. Ma, dopotutto, chi li ha?

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