Crash

Nell’arco di 36 ore, le vicende di alcune persone si intrecciano tra loro. I risultati saranno molto variegati, ma per tutti la vita non sarà più come prima. Esordio alla regia dello sceneggiatore di Million Dollar Baby

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Non poteva uscire in un momento migliore questo film. Con la Francia sotto choc per le violenze nelle periferie delle sue città e in un momento in cui i conflitti razziali in tutto il mondo (Medio oriente, ma non solo) hanno raggiunto una soglia critica.
Ora, non è il caso di aspettarsi risposte e possibili soluzioni da Crash e forse questo è uno dei suoi pregi. Sarebbe stato facile rifugiarsi un ecumenismo banale, all’insegna del volemose bene, per cercare di trovare una via d’uscita ad una miscela sempre più esplosiva.
No, la pellicola mostra come il razzismo (ma soprattutto la paura, che è la vera protagonista del film) siano uno dei pochi prodotti veramente globali nel nostro mondo.

Per farlo, ci mostra come dei personaggi molto diversi tra loro (un procuratore e sua moglie, dei poliziotti, un negoziante, un regista televisivo) possano sprofondare in una razzismo variegato (talvolta becero, ma anche interessato e al “contrario”) e profondo. La struttura è ormai consolidata (e, forse, abusata) all’interno del cinema americano: vengono in mente il maestro Robert Altman (soprattutto America Oggi) e l’allievo P.T. Anderson (Magnolia), i cui film erano però francamente superiori. Come sempre in questi casi, in cui le storie sono tante e diverse, alcune cose funzionano, altre meno. Chi svetta è sicuramente Matt Dillon (al centro di una vicenda francamente irreale, ma decisamente coinvolgente) e Don Cheadle (che, non fosse il film uscito negli Stati Uniti in estate, sarebbe stato sicuramente candidato all’Oscar come non protagonista). Non si capisce invece l’enfasi riservata al personaggio di Sandra Bullock (inconsueto per lei, ma decisamente superficiale), mentre invece Ryan Philippe non sembra sfruttare le potenzialità espresse dalla sua parte.

Di sicuro, quello che risalta è la generale mancanza di manicheismo e di facili formule stereotipate. In particolare, il personaggio di Matt Dillon è quello più complesso e sfaccettato del lotto. Però, non mancano cadute di tono e banalità in altri protagonisti, che sicuramente abbiamo già visto in altre occasioni, come nel caso del solito procuratore politicante senza scrupoli.
Il fatto è che Paul Haggis è uno sceneggiatore sicuramente capace e di mestiere, che conosce tutti i trucchi della sua professione. Proprio per questo, è facile capire il successo della pellicola: alcuni aspetti che sembrano particolarmente intelligenti sono, francamente, frutto di una grande furbizia. E così come il terzo atto di Million Dollar Baby non aveva fondamentalmente senso (né narrativamente, né giuridicamente), così anche Crash non si preoccupa troppo della verosimiglianza, almeno se questa non è efficace.

Per ora, insomma, è il caso di accogliere l’esordio alla regia con una moderata soddisfazione. Sperando che in futuro attenui i suoi difetti e punti di più sui suoi punti di forza…

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