Cow, la recensione | Cannes 74
Centrato tutto su una vacca, fin dalla sua nascita, Cow è un grande esperimento in come una cineasta può creare un personaggio anche senza recitazione
Andrea Arnold la si segue qualunque cosa faccia. Anche quando gira un film intero su una vacca e basta. Anche quando gira un film così fazioso e militante da andare in deroga alle più comuni leggi dell’etica filmica che invece ha sempre rispettato.
In Cow ci fa innamorare di una vacca seguendola fin dalla nascita. Non siamo noi ad amarla ma è lei che con tutti gli espedienti filmici che conosce crea da zero un sentimento verso questo animale, ci porta ad avere quel sentimento tramite l’immedesimazione e l’antropomorfizzazione, le leggi base del racconto e quindi del cinema. E lo fa ben sapendo quale sia il destino inevitabile della bestia e quindi che quel sentimento che lei ha creato sta lì solo per essere frustrato nel finale. Più che cinema è manipolazione. Ma fatta alla grande.
Nonostante la mossa bassa e la strategia da poco, Cow è una dimostrazione di capacità di mettere in relazione un personaggio e il suo ambiente anche a prescindere dall’espressività, anche a prescindere dalle battute, anche a prescindere da una storia. “Gli attori sono bestiame” diceva Hitchcock, disprezzandoli e relegandoli al reame delle bestie non intelligenti da gestire, Andrea Arnold riesce a non gestire ma a dare l’illusione che anche una vacca possa contribuire spontaneamente ad un film su di lei.
Tramite l’uso dei primi piani e di una musica eccezionale riesce a far apparire quella bestia come una delle sue protagoniste (cosa di non grande conforto per le attrici con cui ha lavorato in passato), cioè bella e forte, cool perché dotata di un mondo interiore e di una maniera propria di muoversi negli ambienti e così facendo possederli. Questa vacca è in controllo della situazione, ama, è piena di idee e desideri e non teme niente. O almeno questo è quello che dice Andrea Arnold.