La recensione di Un colpo di fortuna (Coup De Chance), il nuovo film di Woody Allen presentato fuori concorso al festival di Venezia
È la prima volta che un film di
Woody Allen non è scritto bene ma addirittura, in certi punti, con pigrizia. Ha girato e scritto così tanti film che di certo non sono tutti capolavori, ma mai era stata la scrittura a tradirlo. Avviene per la prima volta in
Coup De Chance, in cui non solo tutto è già visto e già raccontato nella sua filmografia (cosa che non è mai stata un problema) ma è anche fatto con un’approssimazione più da imitatore di
Woody Allen che da
Woody Allen. Ci sono maniere di costruire il fascino di un uomo che la protagonista non incontra da diversi anni abbastanza povere, ci sono registrazioni fatte di nascosto che servono a mandare avanti la trama thriller in cui le persone spiegano per filo e per segno tutto quello che serve di sentire a chi ascolta anche se non avrebbero ragione di farlo e ci sono anche tutta una serie di frasi contrapposte su destino, fortuna e caso di un generico raro. In più questo è probabilmente il film di
Woody Allen recitato peggio.
Facciamo quindi sempre un po’ di fatica a entrare nella storia di una donna sposata a un uomo ricco che incontra un compagno di scuola, dopo anni in cui non si sono visti, e viene lentamente conquistata da lui. Ne nasce una relazione extraconiugale che il marito scoprirà e da lì via agli intrecci, indagini, controindagini ecc. ecc. È tutto quello che agitava Match Point unito a parte di quello che agitava Sogni e delitti, solo con molta meno pregnanza. Quelli erano infatti film britannici che sembravano uscire dal contesto finanziario, familiare e di caste britannico, radicatissimi nei luoghi e negli interni, perfetti per le facce e per la lingua. Questo invece è un film francese che non ha niente del mondo francese se non le ambientazioni, le soffitte e i palazzi. Di nuovo: è generico.
Solo visivamente
Coup De Chance recupera un po’ di senso. Alla fotografia c’è ancora
Vittorio Storaro e quindi tornano i suoi cambi di illuminazione in mezzo alle scene che ne cambiano di colpo il tono, una sorta di montaggio interno a mezzo luci, e in più alcune idee come quella di pettinare e truccare il marito geloso come
Bela Lugosi in
Dracula sono eccezionali e parlano di una capacità predatoria d’alto bordo. A ricordare che questo è un film di
Woody Allen ci sarà, alla fine, un colpo di scena forse non proprio inatteso ma di certo clamoroso per come arriva, capace di afferrare e consegnare allo spettatore al volo un’intera visione di mondo con una chiarezza (tra grottesco, ironico e tragico) così precisa, pulita ed eloquente che solo un vero maestro può concepire e poi eseguire.
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