Cose dell'altro mondo - la recensione

Un film che ha beneficiato di una polemica indirettamente proporzionale alla sua stessa identità, un'opera frivola e inconsistente...

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Caso interessante: un film italiano quasi remake (A Day Without a Mexican di Sergio Arau, 2004) che di fatto è un high concept movie (“Cosa succederebbe se... in Italia sparissero gli immigrati?). C'erano due termini inglesi nella frase precedente. Stiamo imparando cinismo dai più grandi? Come a volte può capitare con prodotti cinematografici anglosassoni, il marketing è eccellente, il film meno.

Qui il marketing è buono e il film meno. Molto, molto, molto meno. Si è parlato parecchio di Cose dell'altro mondo: irritati da una presa in giro di colpevole indulgenza (ma l'immagine conta meno di una mezza parola, in Italia) nei confronti di un Veneto più bifolco che razzista, alcuni rappresentanti del partito della Lega Nord (Massimo Bitonci, Luca Zaia) hanno contestato il finanziamento pubblico al film di Patierno, e così da un mesettp si parlava di questo film. Cose di mondo che rendono ancora il cinema un luogo di vita e polemica.

Patierno: mi era piaciuto molto il drammone urlato Pater familias (2003) e avevo accusato l'inconsistenza di Il mattino ha l'oro in bocca (2007), la cui cosa più bella era l'idea di trasformare un suadente mito pop anni '80 come Claudio Cecchetto in un piccolo uomo astioso e senza charme con la faccia del popolare comico Dario Vergassola. Era un bel contrasto. Vado a vedere Cose dell'altro mondo incuriosito, esco e chiedo parafrasando Robert Aldrich: “Scusi, dov'è il film?”. Benvenuti al Sud, al confronto, è Quarto potere. Non ho visto niente. Dov'è il film? Scomparso pure lui come gli immigrati?

Diego Abatantuono (sempre lampadato) è un industriale razzistello appassionato di armi da taglio, con pessima mira e orribile pronuncia dell'inglese (vede un film con “Lian Nason” che “salva la figlia dalle grinfie degli albanesi”; era Io ti troverò, dove lui salvava la figlia dai russi dagli albanesi) che tuona contro prostitute nigeriane, fancazzisti albanesi e urla una notte buia e tempestosa dal suo piccolo pulpito su rete La9: “Prendete il cammello e tornate a casa! Apocaliss Nau!”. Ma in fondo in fondo è simpatico. Valerio Mastandrea è un poliziotto che sembra non lavori (a Roma non hanno bisogno di lui?) che rimane in Veneto perché la sua ex sta con un “negro” (il film usa spesso la parola per non sembrare politicamente corretto; un mezzuccio che dà veramente fastidio), aspetta un figlio da lui (il “negro”) e nonostante il poliziotto sia sempre stato un indolente, arido, meschino e irresponsabile, tutto il film si comporta come se lei sia la colpevole. E anche un po' sgualdrina. La regia, la macchina da presa, la scrittura e Patierno sono platealmente con il poliziotto. Anche lui, in fondo, è simpatico, ma non ha un minimo di arco caratteriale, di crescita. Certo, lo vediamo prendersela con un razzista con la bella faccia di Vitaliano Trevisan (scena che sembra appartenere a un altro film), ma più perché è furioso nei confronti della situazione in cui si trova che per scelta politica.

Attorno a questi due personaggi maschili-meschini trattati con riprovevole indulgenza ruotano una serie di piccole gag e situazioncine (la madre del poliziotto, la moglie dell'industrialotto, i bambini gestiti dalla ex un po' sgualdrina del poliziotto) che non fanno mai ridere, pensare, emozionare dopo la trovata high concept: l'indomani dell'invettiva di Golfetto (nome da industrialotto), gli immigrati, puff, scompaiono letteralmente. Tutti sentiranno la loro mancanza: industriali (mancano operai), anziani (mancano badanti), mariti insoddisfatti (mancano prostitute), credenti (mancano... anche i preti; questa è l'unica trovata divertente del copione).

Nel frattempo Simone Cristicchi crea un sottofondo musicale ammorbante-spensierato che non c'entrerebbe niente con un film del genere se Patierno effettivamente non scegliesse la strada dell'insulsa bonarietà. Ma siamo ai tropici, Sharm El Sheik o nel Nord Est? Nessuno si fa male, tutti sono bonaccioni, Abatantuono strabuzza gli occhi, Mastandrea fa le faccine e la donna sola incinta ci mette un secondo a rimpiazzare il marito “negro” scomparso. Avevamo sbagliato! Non era un po' sgualdrina: lo era interamente. Misoginia: lei non scompare mai dal nostro cinema, state tranquilli.

Perché a nessuno interessa sviluppare in sceneggiatura la trovata high concept? Non c'è un'inquadratura, un movimento di macchina, un'espressione intensa, un'immagine forte. C'è solo il marketing di un film che ha beneficiato di una polemica indirettamente proporzionale all'identità stessa di un'opera terribilmente frivola. Dunque, è stata una polemica senza alcun senso. Cose dell'altro mondo? No, affatto: proprio da Italia.

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