Cosa sarà, la recensione | Roma 15
Con una sceneggiatura impeccabile Cosa sarà raggiunge un'armonia dolcissima e perfetta che mette in secondo piano tutto quel che avviene per puntare all'umanità
A quel punto non importa più cosa stia accadendo, diventa del tutto superfluo, ogni contingenza scivola in secondo piano, relegata a mero pretesto. Anche quando, paradossalmente, si tratta di un argomento ingombrante come quello di Cosa sarà: il sopraggiungere di una malattia potenzialmente mortale.
Con solo poche blande esagerazione melodrammatiche (che stonano un po’ proprio perché uniche) in questo film dolcissimo e commovente Bruni rinuncia ad alcuni luoghi comuni delle sue sceneggiature che solitamente gli creano un recinto dorato e sicuro, gettandosi in un territorio un po’ nuovo, un po’ diverso, ma senza esagerare. Rimane la sua capacità eccezionale di usare il dialogo come nessuno oggi nel cinema italiano, come si vede negli scambi tra il protagonista e l'agente immobiliare che tradiscono confessioni, sentimenti e debolezze mai nominati apertamente ma che chi guarda ha la chiara sensazione di aver capito da sé (non è vero, ce li ha detti lui, solo non apertamente ed è bello così) e soprattutto senza che questo cancelli il Bruni touch. Anzi!
Mai la visione dei rapporti tra sessi in un film scritto da Francesco Bruni era stata così netta come in Cosa sarà. Tutti gli uomini sono abbastanza incapaci, emotivamente inetti, problematici e a vario modo cialtroni, mentre tutte le donne, equilibrate, razionali e sentimentalmente consapevoli, hanno il compito di gestirli, aiutarli o proprio salvarli. Lo fanno con compassione, tenerezza e affetto per questi esseri così fragili e in difficoltà, maneggiandoli con la stessa cura e delicatezza con cui gli uomini di classe nei film degli anni ‘30 gestivano le donne.
Tanto che quando poi gli uomini si relazionano tra di loro fanno fatica a capirsi e sfociano in rabbia o mutismo.
È una prospettiva che serve bene gli intenti e le finalità del film (specie il personaggio della figlia) ma che sarebbe stata sicuramente aiutata ad essere un po’ più complessa da un lavoro più fino sulla recitazione. Con l’eccezione di Fotinì Peluso e Kim Rossi Stuart questo è un po’ il tallone d’achille del film, il fatto di avere troppo spesso momenti in cui le interpretazioni reggono poco, sono fuori tono per macchiettismo o proprio un po’ amatoriali. Eppure, paradossalmente, proprio il fatto che ci sia questa mancanza rende ancor più eccezionale che il film sia così perfetto.