Cosa fai a Capodanno?, la recensione

La nostra recensione di Cosa fai a Capodanno?, da oggi al cinema

Critico e giornalista cinematografico


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C’è un grandissimo equivoco alla base di Cosa Fai A Capodanno?, ovvero che un film strano sia buono perché strano. Questa storia di una notte di Capodanno, passata in una baita isolata tra personaggi che dovrebbero essere lì tutti per la stessa ragione (un’orgia) ma in realtà hanno tutti finalità differenti, dovrebbe mescolare molti stili, essere sorprendente e soprattutto essere sporcata molto di genere come non si fa mai in Italia, ma è l’esatto contrario. È cioè un film che su una base che guarda un po’ a Tarantino (un’incredibile citazione smaccata di Pulp Fiction leverà ogni dubbio ma già le persone chiuse in una baita potevano mettere sulla strada giusta) instaura il più classico degli appiattimenti all’italiana.

Piegatissimo su riferimenti locali alla politica e al qualunquismo, ovviamente intrappolato in un rapporto problematico con il passato e il vintage, determinato a fare dei personaggi delle macchiette (l’introverso, l’ex ricca, la coatta gelosa, il ladro duro, il politico arraffone, la ragazza chiusa in sé attaccata al cellulare…) e contrappuntato dall’avventura di due caratteristi che dovrebbero portare il catering alla baita ma non arriveranno mai, Cosa fai a Capodanno? promette tutto e mantiene nulla. Non ci saranno abbastanza sangue, sesso, rapine, azione e vendette, questo nonostante più volte il film faccia intendere che lì vuole andare a parare, a partire da un inizio assurdo che dovrebbe far esplodere un po’ di splatter all’improvviso annunciandolo però mille volte prima che accada.

È un triste destino quello di questo film tutto parole ma che ha problemi di scrittura già da come i personaggi parlano tra loro, da come si ripetono frasi e intenzioni più volte (come quando Ilenia Pastorelli farà una battuta tutta ammiccamenti metacinematografici che coinvolge lei, Luca Argentero e il Grande Fratello). La cosa verrà confermata da svolte improvvise e assurde come l’impacciato cocco di mamma che dopo un bacio diventa fico e si veste di pelle. Come poco spiegabile è la colonna sonora che a più riprese suggerisce una svolta western che non arriverà mai, nemmeno nelle interazioni, nemmeno nello stile.

Eppure ciò che lascia più perplessi è che questa storia, con tutti questi intrecci e questi svelamenti che alle volte necessitano di flashback per venire a galla, non sembra arrivare da nessuna parte. Se in Perfetti Sconosciuti (co-sceneggiato da Filippo Bologna) tutto l’intreccio portava all’emersione dei segreti inconfessabili di quelli che si credevano amici, qua i vari eventi di cui siamo testimoni non convergono verso un unico significato ma sono tutti parte di singole piccole parabole sterili.

Tutti i mutamenti che subiranno i personaggi tra tradimenti (forse) attuati, prime volte, illusioni sull’amore, umiliazioni e anche morti non hanno nessun senso nell’economia del film. Sono svolte che più o meno attendiamo e che quando si presentano non contribuiscono né a un significato che sia superiore alla somma delle singole parti, né ad un mood particolarmente originale o allucinato (come potrebbe essere per il cinema dei fratelli Coen). La mancanza di senso insomma non è nemmeno cercata, come del resto non ci portano a niente i simbolismi che mettono Haber in una posizione cristologica.

Una buona interazione tra tutti gli attori coinvolti avrebbe potuto almeno rendere il passare dei minuti piacevole ma non siamo da quelle parti. Ognuno va per conto proprio: Haber è libero di esagerare e salire di tono come vuole, Ilenia Pastorelli ripropone con capacità il suo solito personaggio, mentre agli altri rimane di lavorare di esperienza oppure tonfare inesorabilmente come Vittoria Puccini e Luca Argentero.

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