Contraband - la recensione

Non convince il remake americano del thriller islandese del 2008. La scelta di uno spunto così lontano e originale finisce nel più convenzionale dei film...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Se avete curiosità di vedere un film islandese senza vedere davvero un film islandese Contraband è qui per voi. Si tratta del remake a tempo record di Rotterdam-Reykjavik (anno 2008) di Oscar Jonasson, diretto e adattato a schemi e ritualità da cinema di serie B statunitense da chi il film originale l'aveva prodotto e interpretato.

Contraband è dunque in tutto e per tutto un calco americano su atmosfere che cercano di avvicinarsi a quelle impervie del nord Europa. Navi cargo che si muovono per giorni e giorni lungo i mari e nelle quali si crea un microcosmo in cui può accadere di tutto. Nel caso specifico il nesso che scatena il film è l'esigenza di portare a termine un ultimo grande carico di contrabbando da parte di un ex contrabbandiere professionista, costretto a tornare in attività perchè il nipote si è messo nei guai.

Contraband è dunque una storia di tradimenti e voltafaccia, in cui l'azione appare inserita forzatamente e senza beneficiare di quella che poteva essere un'ambientazione peculiare (la nave cargo), ma esplodendo in maniera del tutto prevedibile e quasi obbligatoria ogni qualvolta si metta il piede a terra.

Il pregio del film semmai è quello di avere pochi fronzoli e cercare uno scontro di intelligenze nel mondo semisconosciuto degli intrighi da contrabbando, per quanto "scontro di intelligenze" possa stonare quando ad opporsi sono Mark Wahlberg e Giovanni Ribisi.

Il fattore più curioso di tutti è però come un lungometraggio ispirato ad un'altra opera straniera, diretto da un'islandese che a quella stessa opera aveva preso parte, non riesca a mantenere nulla in termini di spirito esotico.

L'operazione di nazionalizzazione del film è talmente perfetta che Contraband diventa un thriller vagamente d'azione come tutti gli altri, non stupido ma nemmeno brillante, un immigrato che ha completamente dimenticato le sue origini e parla perfettamente la lingua degli americani.

Continua a leggere su BadTaste