Contagion - la recensione

[Venezia 2011] Un virus letale getta nel panico il pianeta e causa un'ecatombe: bisogna trovare la cura. Contagion è il film più riuscito di Steven Soderbergh...

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Dimenticate lo Steven Soderbergh con la macchina da presa in mano incapace di stare fermo un solo secondo, frenetico e molto spesso anche estremamente prolisso quando si tratta di dialoghi e conclusioni: Contagion non è nulla di tutto questo ma un film secco, veloce, tanto definito nei contorni quanto ricco di spunti di riflessione importanti e ben esplorati.
 
Cosa accadrebbe se la prossima epidemia influenzale fosse più resistente e con un ritmo di contagio esponenzialmente più alto rispetto alle tante che, tragicamente, negli ultimi anni hanno fatto periodicamente capolino nella nostra società? Chi, come e con quali tempi reagirebbe il resto della popolazione, da chi dovrà cercarne una cura a chi ne verrà contagiato, da chi ne scriverà a chi dovrà gestirne le conseguenze su di un piano sia politico che economico?

 
Portando sul grande schermo la bellissima sceneggiatura di Scott Z. Burns - già autore di un di uno dei capisaldi degli action movie contemporanei, The Bourne Ultimatum – Soderbergh si approccia con stile realista (nei contenuti) a una delle più grandi paure dell’uomo moderno. Non è un caso se dai tempi dell’11 Settembre il genere catastrofico è diventato sempre più presente nella programmazione delle nostre sale e, attraverso i serial, sui nostri televisori (Flash Forward, The Walking Dead, solo per rimanere agli ultimi due anni). E se molte pellicole si sono concentrate sul post apocalisse (The Road, Io Sono Leggenda), questo è l’anno del “quanto tutto nacque”. E così, a stretto giro di posta, ecco L’alba del pianeta delle scimmie e, per l’appunto, Contagion.

Per dare profondità e credibilità al suo manifesto del “cosa accadrebbe se”, Soderbergh si affida come è suo solito ad un gruppo di personaggi (i film corali sono la sua grande passione, vedasi Sesso, Bugie e Videotape, Traffic, i vari Ocean’s) e li lega l’uno all’altro non tanto con una storia che, logicamente, ha nel virus un filo narrativo che tocca chiunque, ma con una regia, fotografia e un montaggio (tanto visivo che musicale) davvero straordinari. Non c’è spazio per le banalità, basta un fotogramma per suggerire un’azione. Tutti i personaggi, e non è un dettaglio da poco, si comportano secondo logica, non c’è nessuna semplificazione, nessuna definizione tra buoni e cattivi, semplicemente vita, morte, egoismo e voglia, necessità di combattere. Non si fanno sconti a nessuno, e la scelta è chiara fin dall’inizio, quando uno degli attori più conosciuti del cast muore senza che abbia enunciato più di un paio di battute.

Persino la gestione “emotiva” del racconto è da manuale: si parte dal caso singolo e familiare e si arriva poco a poco alla tragedia in grande scala per finire gradualmente, senza fretta o passaggi a vuoto, ad una conclusione nuovamente a livello umano, una di quelle su cui ci si può commuovere senza paura. Non c’è ricatto morale dietro, Soderbergh ha il giusto tatto per raccontare il tutto senza spingere il dito in una ferita ancora sanguinante.

Difficile trovare un difetto a questo che dovrebbe essere, almeno a quanto dichiarato del regista, uno degli ultimi film di un cineasta che ha deciso di dedicarsi poi solamente alla pittura. Contagion è il suo migliore lavoro, e pensare che negli ultimi dieci anni, dai tempi del pur non perfetto Traffic, il suo talento sia rimasto imbrigliato in banalotte disquisizioni autoriali o scialbe commedie è un vero dispiacere.

 
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