Confidenza, la recensione

Inizialmente Confidenza finge di imbastire un film lineare, sentimentale, per poi svelarsi come un thriller psicologico. Ed è un peccato

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Confidenza, il film di Daniele Luchetti con Elio Germano, in sala dal 25 aprile

Quando si incrociano gli astri nei film di Daniele Luchetti, quando cioè la storia giusta è raccontata con il tono giusto, nell’epoca giusta e soprattutto con i tempi giusti, c’è una facilità di racconto che fa impressione. Accade all’inizio di Confidenza, dentro il quale si scivola, più che entrare, con una delicatezza accomodante che sa di comfort-film, cioè il tipo di lungometraggio che bilancia perfettamente convenzioni e stereotipi narrativi che rendono familiare la narrazione con interazioni interessanti, svolte promettenti e soprattutto una confidenzialità e un’intimità nei dialoghi che forniscono l’impressione migliore possibile per una storia sentimentale: che i personaggi siano pessimi a nascondere i loro veri sentimenti. Ciò che provano non lo dicono, ma noi pensiamo di capirlo perché il film sa farlo trasparire in maniera naturale, come se fossimo parte della scena e la scena parte della nostra quotidianità.

Gli stereotipi sono i due protagonisti e la situazione che vivono. Lui è un bravo professore, stimato e amato dagli studenti, idealista e corretto. Lei è una studentessa molto promettente e sentimentalmente onesta (più di lui). Hanno una storia platonica durante l’ultimo anno, che si concretizza dopo la fine del liceo. Tutto si complica quando capiamo che lei è aperta proprio su quello su cui lui invece preferisce non parlare, su ciò che nasconde. Ancora: sono stereotipi, ma agitati benissimo con una gran personalità. È molto brava Federica Rosellini (Germano pure, ma non è una notizia) ma c’è da dire che anche gli ambienti sono così sporchi, ruvidi e perfetti per gli anni ‘80 italiani che tutto non può che essere reale e concreto. In quelle aule, in quelle case e in quelle strade non può che svolgersi qualcosa di morbido e sentimentale, a cui è impossibile resistere.

Il film però non è questo. Anzi è l’opposto. Confidenza non è un comfort-film, ma un thriller psicologico, fatto di tensione, spaventi e ansia, quella del protagonista principalmente, che a un certo punto ha la malaugurata idea di fare una confidenza alla ragazza. Potremmo non sapere mai cosa le ha detto all’orecchio, ma è così grave da allontanarli. Tutto il resto delle rispettive vite (lei brillante scienziata in America, lui una carriera a scuola e nel ministero dell’istruzione) viene raccontato all’insegna di questa confidenza che tormenta il professore, terrorizzato che lei prima o poi lei la sveli a tutti, distruggendogli la vita.

Pur non sapendo cosa sia, siamo certi sia allucinante, anzi, è il simbolo stesso del senso di colpa, dell’ombra nel passato, del peccato collettivo, di ciò che pesa sulla coscienza maschile. Non peggiora solo la vita di questo protagonista però, ma tutto il film sceneggiato con Francesco Piccolo e tratto da Confidenza di Domenico Starnone. Da quel momento in poi Confidenza (il film) diventa italiano nel senso peggiore del termine, smette cioè di raccontare e mostrare sentimenti e comincia a parlare di sentimenti. Diventa una storia di tradimenti coniugali, difficoltà a tenere insieme matrimonio, figli e passione, diventa autocommiserevole, postulando che tutto il pubblico sia voglioso di empatizzare con questi problemi senza una buona ragione (filmica) per farlo.

Le scene che accompagnano i titoli di coda chiariranno che abbiamo assistito a al viaggio nella testa, nei ricordi e nelle fobie del protagonista: un uomo in crisi, terrorizzato da quel che accade, dalle donne in generale e dal potere che hanno. Lui pensa di conquistarle ma in realtà deve loro tutto, oltre a esserne minacciato. È un film mentale con musiche originali di Thom Yorke che ne sottolineano la natura ossessiva ma senza giovare allo scorrimento, anzi appesantendolo. Come se ce ne fosse bisogno…

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