Conan the Barbarian #1, la recensione
Abbiamo recensito per voi Conan the Barbarian #1, di Jason Aaron e Mahmud Asrar
È con comprensibile entusiasmo, quindi, che lo zoccolo vasto e durissimo dei fan del guerriero ha accolto la notizia che con il 2019 Conan sarebbe tornato alla Casa delle Idee con un ciclo di storie inedite firmato dal poliedrico Jason Aaron (Thor), uno dei nomi di punta dell'editore, e illustrato da Mahmud Asrar, altro fiore all’occhiello, reduce da una bella prova su X-Men: Red.
Inizieremo con il dire che l’approccio che Aaron sceglie per dare il via alla sua saga hyboriana è quello di omaggiare e riconoscere la natura di personaggio multimediale che Conan ha saputo conquistarsi nell’arco dei decenni. La lunga e maestosa introduzione che l’autore ci presenta nelle prime pagine spazia parallelamente nei tre regni in cui il Barbaro si è mosso fino ad ora: sul fondo di una carrellata delle molte avventure a fumetti di Conan delle ere passate echeggiano le ormai celebri parole introduttive delle Cronache Nemediane, evocative quasi quanto il proverbiale “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana” di stellare memoria: “Fra il tempo in cui l’oceano inghiottì Atlantide e il sorgere dei figli di Arias, vi fu un’era al di là di ogni immaginazione…”; introduzione sì letteraria, ma anche scelta da John Millius come epica apertura della sua pellicola del 1982 con Arnold Schwarzenegger come protagonista, a tutt’oggi la versione che più di ogni altra ha lasciato il segno nell’immaginario collettivo cinematografico e televisivo dedicato al Cimmero.
Aaron sembra quindi voler garantire sia di conoscere la materia hyboriana, sia di voler abbracciare nella saga che si appresta a narrare tutte le imprese e le incarnazioni del Barbaro che lo hanno preceduto. Dichiarazione di intenti ribadita con ulteriore energia nel resto dell’albo, che inanella uno dopo l’altro tutti i topoi più conosciuti e amati delle avventure di Conan: dal proverbiale combattimento nell’arena contro i gladiatori al sensuale incontro con la femme fatale di turno che si rivela essere più di quel che sembra, fino a un’incursione nel Conan dell’era crepuscolare, quella che lo vede sedere stanco e corrucciato sul trono di Aquilonia.
Già, perché Aaron sembra voler “accampare diritti”, o quantomeno strizzare l’occhio, anche all’ipotetica avventura cinematografica ventura del Cimmero, quel King Conan di cui più volte si è parlato e che dovrebbe vedere Schwarzenegger vestire di nuovo i succinti panni del Barbaro in una storia che si alterna tra la vecchiaia del presente e la gioventù del passato. Dopo varie false partenze della realizzazione del film in questione, lo sceneggiatore Marvel decide di fare propria questa struttura narrativa e di utilizzare il vecchio Re Conan del presente (o del futuro) come cornice decameroniana delle sue avventure nell’epoca classica della gioventù.
Lodevole lo sforzo di Aaron di imitare lo stile narrativo di Howard, accompagnando scene d’azione e di riflessione con ampi brani didascalici che mirano a evocare lo stile esotico e avventuroso del narratore texano, e se da un lato il lettore più moderno e smaliziato potrebbe sorridere di fronte a uno stile che si discosta molto dalle produzioni fumettistiche moderne, risultando a tratti perfino ampolloso e anacronistico, chi si è già destreggiato nella prosa di Howard non potrà fare a meno di apprezzare la coerenza di stile e di atmosfere con i racconti originali: sembra quasi di trovarsi di fronte a un “inedito d’autore", o quanto meno a un falso d’autore di pregiatissima fattura!
Molto valida anche la prova di Asrar alle matite, che sembra avere trovato la quadratura del cerchio che da sempre è il cruccio delle storie a fumetti di Conan: da un lato la volontà di trasmettere il sense of wonder e le atmosfere esotiche e primordiali della perduta era Hyboriana, dall’altro la necessità di dipingere un mondo realistico, crudele e spietato, più vicino all’odierno Westeros de Il Trono di Spade e ben lontano dalle atmosfere sognanti della Terra di Mezzo de Il Signore degli Anelli. Ne consegue che, salvo rare eccezioni, in buona parte delle storie illustrate di Conan la bilancia pende eccessivamente dal lato del fiabesco, remando contro la suspension of disbelief necessaria per abbandonarsi al racconto, oppure tende allo stile scarno ed essenziale, che ben si adatta alla crudezza delle scene sanguinarie e di azione, ma paga un prezzo sul fronte del meraviglioso e dell’esotico.
Asrar sembra aver imboccato la strada giusta con un tratto non eccessivo nei dettagli, ma che con una sapiente scelta nelle inquadrature delle scene e nel dinamismo dei movimenti riesce a coinvolgere e ad affascinare. È anche vero che Aaron gli ha facilitato il lavoro, scegliendo come ambientazioni e situazioni del primo numero un who is who degli stilemi howardiani, dai suddetti combattimenti nell’arena ai rituali magici del perverso stregone di turno ai campi di battaglia grondanti sangue. Attendiamo ambientazioni e situazioni più atipiche per vedere se l’ottimo occhio di Asrar saprà fornire lo stesso risultato.
Difetti? Ne salta all’occhio uno, che forse non è un difetto, ma che fa quantomeno alzare un sopracciglio, e cioè il fatto che per questo primo numero Jason Aaron sembra voler andare eccessivamente sul sicuro: con l’intento di voler rassicurare il lettore e dare dimostrazione della sua conoscenza della materia, lo scrittore di Weirdworld si muove su strade e scenari fin troppo noti ai lettori, e si giunge in fondo alla storia con la sensazione sì di essersi divertiti e di avere ritrovato il personaggio e il mondo amato da sempre, ma anche con l’impressione di avere letto ben poco di nuovo.
Tuttavia, Aaron conserva nella manica un asso che gioca sul finale dell'episodio, ossia il vero tema portante della sua saga ventura, e si tratta di un tema alquanto ambizioso, che nessuno degli autori letterari o fumettistici che lo avevano preceduto aveva mai osato affrontare: quello di narrare gli ultimi giorni di Conan e gli eventi che lo hanno condotto (o condurranno?) alla sua morte. Proposito temerario, per un personaggio il cui fascino risiede soprattutto nelle doti di tenacia e di sopravvivenza che gli hanno sempre garantito di emergere vincitore dalle mortali sfide di un mondo spietato.
Bluff narrativo o genuino intento di voler regalare un’uscita di scena a un personaggio che ne è stato sempre privo? La risposta, naturalmente, sarà rivelata nel corso della serie, ma la domanda è più che interessante per agganciare il pubblico di lettori vecchi e nuovi e condurlo in una saga che si preannuncia cupa, complessa ed epica. E quando si tratta di Conan, non ci aspettiamo niente di meno!