Community (sesta stagione): la recensione

La recensione della sesta stagione di Community: della meravigliosa comedy di Dan Harmon ormai rimane sempre meno

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Nel corso dei suoi anni più fortunati Community è riuscito a guadagnarsi non solo una stima, ma anche un affetto così sinceri che non si può non riconoscergli una cosa: è una serie che sa di non funzionare più. Che detto così potrebbe non sembrare troppo diverso dal trattamento che, come ci ricorderà Abed nella citazione qui riportata, i network riservano alle loro proprietà. Ciò che distingue effettivamente lo show di Dan Harmon da tutti gli altri è la sua componente metanarrativa, la capacità di abbattere sempre più esplicitamente la quarta parete, per giocare con gli spettatori e prendere in giro se stesso e le sue sempre più palesi mancanze. Dopo la cancellazione su NBC e il salvataggio della serie traghettata su Yahoo, il sesto anno al Greendale College, fondamentale perché va a realizzare la prima parte della storica profezia del "six seasons and a movie", riflette più che mai su se stesso, sul suo passato glorioso (golden age verrà definita a un certo punto dal solito Abed), su un presente nostalgico e un futuro che, considerato anche un finale di stagione perfetto, forse sarebbe meglio non vedere.

La supervisione di Dan Harmon, tornato perfettamente in sella alla sua creatura dopo l'allontanamento della quarta stagione (in Emotional Consequences of Broadcast Television a questo proposito un inside joke da soffocare dalle risate), ha dovuto fare i conti con due difficoltà principali. La prima, e più palese, lo smembramento del cast. Il tema non viene ignorato, ma anzi come al solito è preso di petto dalla scrittura: emblematico il personaggio di Frankie, che verrà presentata come "new Shirley" dal preside al gruppo. E tornerà ancora e ancora, con la nostalgia per la mancanza di Troy, la simpatica indifferenza per Pierce, ma anche il ricordo fugace di Hickey e Duncan che lo scorso anno si erano inseriti molto bene nel gruppo. Qualcosa inevitabilmente si è perso con l'allontanamento di quei personaggi. Non necessariamente perché Shirley o Pierce fossero migliori di Frankie o di Elroy (anche se lo erano), ma perché, anche con tutte le loro mancanze, si erano formati nel momento d'oro della serie, erano presenti in tutti i segmenti migliori dello show, erano parte dell'anima di Community.

Perdite che nessun recasting può rimpiazzare. Se poi a questa impresa disperata aggiungiamo il fatto che i personaggi interpretati da Paget Brewster e Keith David, affogati nell'anonimato e nell'antipatia, non riescono a fare breccia o a ritagliarsi un momento degno nel corso dei tredici episodi, la zavorra è ancora peggiore. Non rimane allora che affidarsi al nucleo originale, o almeno a ciò che ne è rimasto. Abed rimane il fulcro dell'equilibrio interno della serie, se non altro perché da sempre è il mezzo con cui Harmon – per citarne uno su tutti – disinnesca eventuali critiche allo show, alle sue mancanze, alle cadute che normalmente interessano le comedy. Un esempio su tutti, in un dialogo con Frankie in Ladders quando tira fuori il dimenticatissimo personaggio della sua ragazza, che naturalmente non rivedremo mai più, o quando sancisce la realizzazione degli episodi conclusivi delle trilogie sul paintball o sui "momenti di confessione" del gruppo. Eppure anche lui ha perso tantissimo con l'allontanamento di Troy.

Idem per Britta, che mantiene il ruolo di macchietta e zimbello del gruppo consolidato nella terza stagione e mai più abbandonato, o per Jeff e Annie, la cui tensione sessuale viene recuperata solo nel finale di stagione. Mai veramente incisivi né il preside CraigChang, quest'ultimo però protagonista di uno degli episodi più riusciti dell'anno, incentrato su una rappresentazione teatrale di Karate Kid. Un po' poco, considerato che da quando interpretava un insegnante di spagnolo pazzoide, il personaggio di Ken Jeong ha attraversato una dozzina di caratterizzazioni.

Questo per quanto riguarda il primo dei problemi della serie. Il secondo è un po' più sottile, e riguarda la natura stessa dello show creato da Dan Harmon. Una serie che, al di là della trama orizzontale completamente scomparsa dalla terza stagione, da allora ha sempre dato l'impressione di navigare a vista, con un cast traballante, qualche episodio speciale dovuto, ma sempre e inevitabilmente costruito sulla mitologia del passato, e nessuna idea nuova (forse l'unica davvero degna di nota sono i MeowMeowBeenz dello scorso anno).

Tutto da buttare quindi in questa stagione superiore solo alla famigerata quarta annata, nota anche come la "darkest timeline"? In realtà no. Basic Email Security offre una prospettiva molto divertente sul significato del politicamente corretto, che da sempre è preso in giro dalla serie, Grifting 101 è una variazione sul genere della truffa ispirata a La stangata, e Wedding Videography si conclude con una rivelazione talmente grottesca e geniale che non avrebbe sfigurato nelle prime stagioni. Divertenti inoltre le frecciatine sparse lanciate ai film Marvel, considerato che i fratelli Anthony e Joe Russo, che dirigeranno Civil War e Avengers: Infinity War, sono produttori esecutivi e registi di innumerevoli episodi della serie.

L'episodio conclusivo infine è una perla di malinconia. Un commiato talmente riuscito, sincero, quasi commovente, che sembrerebbe un peccato sporcarlo con una settima stagione, che probabilmente arriverà, ma che non ha veramente più niente da aggiungere ad una serie che ha dato tutto ciò che poteva.

#andamovie

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