Comedians, la recensione

Nell'adattare un testo teatrale del 1975 Gabriele Salvatores fa l'errore che non fece con Kamikazen, non trasforma Comedians in un film

Critico e giornalista cinematografico


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Comedians, la recensione

La mossa giusta Gabriele Salvatores l’aveva già fatta, nel 1987, e cioè non adattare Comedians di Trevor Griffiths in un film, ma fare un film autonomo prendendo spunto da esso, rubando personaggi, un po’ la situazione e cambiando molto, specialmente l’intreccio, per favorire i meccanismi del cinema. All’epoca quel testo era recente, aveva solo 12 anni, e Salvatores l’aveva già portato a teatro, la versione per il cinema (intitolata Kamikazen - Ultima notte a Milano) era quindi un’altra cosa. Era un film autonomo. Adesso, nel 2021, cade nell’errore in cui non cadde anni fa: sceglie di girare un film come fosse un’opera teatrale, ritagliandosi variazioni e dettagli di stile possibili solo al cinema nei punti meno utili, trovando lo specifico filmico lì dove non cambia nulla.

La storia è quella di un gruppo di aspiranti comici, tutti con un altro lavoro che vorrebbero mollare, che si preparano per una serata a lungo attesa in cui ci sarà un talent scout che, tuttavia, contrariamente all’insegnante che li ha preparati gli preannuncia che non vuole comici sofisticati, idealisti o intellettuali, ma comicità terra terra, semplice, da tv generalista, per un nuovo programma che sta lanciando. Tutti dovranno decidere se seguire il maestro o se rivoluzionare tutto per inseguire una speranza di successo e uscita dai lavori che odiano.

Il testo di suo si presta ad una dialettica universale, quella tra arte e commercio, aspirazioni personali e cinismo della carriera, etica e contingenze. Sono temi del mondo della produzione artistica che facilmente tracimano e toccano la vita di ognuno: cosa siamo disposti a fare per fare carriera e cosa è giusto sacrificare degli ideali e della qualità di quel che facciamo per tenere, trovare o emerge in un lavoro.

Il film però è sbilanciatissimo. C’è un piccolo prologo che anticipa qualcosa che accadrà dopo circa 40 minuti ma senza che questo abbia una vera utilità, un conto alla rovescia fino allo spettacolo tenuto tramite continui fermo immagine pure non ha nessun senso, se non probabilmente nell’idea di aumentare una tensione che tuttavia proprio non c’è, quindi non può essere aumentata. A salvarsi sono dei momenti, come il montaggio delle performance sul palco (molto curato, ben fotografato e giostrato tra vicino e lontano in modo da gestire l’attenzione e la tensione dello spettatore come in Lenny di Bob Fosse) oppure l’eccezionale scambio duro tra Natalino Balasso e Christian De Sica, l’unica volta in cui gli attori (finalmente!) non parlano con quello che si dicono ma con il modo in cui lo dicono.

Il resto invece, dai movimenti nella scena, al senso dello spazio fino ovviamente ai dialoghi (proprio la lingua parlata dai personaggi) e soprattutto alla recitazione, è impietosamente teatrale.

Certo, il suo sporco lavoro il testo lo fa, Comedians è un film che mette sul banco molte domande. Nonostante parteggi spudoratamente per gli idealisti è sufficientemente delicato da dipingere bene il talent scout alla ricerca di qualcuno che faccia ridere la gente comune (e l’ha capito benissimo Christian De Sica la cui performance è soprattutto intelligente), come anche dipinge bene l’esigenza di molti di farcela. Pur se sbilanciato è sufficientemente equilibrato da smuovere qualcosa e generare domande.

Ma non si può far finta di non vedere come Salvatores abbia scelto di non adattare la recitazione. Tutti con la notabile eccezione di un fantastico Natalino Balasso, recitano con l’enfasi del teatro, specialmente Giulio Pranno. A lui tocca il personaggio più complicato e idealista e lo tratta con un carico espressionista impossibile da sostenere, lontanissimo dagli standard del cinema, straniante e fastidioso.

Infine ci sarebbe da dire di quanto poco un testo simile parli oggi e quanto invece suoni superato. Oggi che la comicità ha attraversato molti mutamenti e ha trovato un nuovo stile (in Italia) che attecchisce molto su chi sta iniziando e sul pubblico suo coetaneo le dinamiche descritte suonano vecchissime. Costrizioni, possibilità e stili sono completamente diversi. E per quanto la storia sia collocata fuori dal tempo (non esistono riferimenti anche solo di costume o tecnologici al presente e un dialogo sull’olocausto fa intuire che non siamo nel presente) vederlo oggi comunque suona strano.

La chiusa con una barzelletta che tira le fila applicando un grande metaforone tutto da interpretare poi di certo non aiuta il film ad essere svecchiato.

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