Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di morto, la recensione

A sorpresa Cortellesi e Milani riescono a replicare lo spirito di Come un gatto in tangenziale e a prolungarne la storia e il senso

Critico e giornalista cinematografico


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Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di morto, la recensione

Il set di magliette con lustrini accecanti di Paola Cortellesi introduce il pubblico al seguito di Come un gatto in tangenziale, sottotitolato Ritorno a Coccia di morto anche se quel luogo non solo non è centrale ma lo vediamo per pochissimi minuti. Il team invece è esattamente lo stesso dell’originale: stesso regista, stessi sceneggiatori, stessi protagonisti, stessi comprimari (con le aggiunte di rito) e in un certo senso stessa storia solo declinata in un’altra maniera. Non è più l’alternarsi di una donna di periferia nel mondo di un sofisticato uomo di cultura e di un uomo di cultura nel grossolano mondo della donna di periferia (con la scusa del fidanzamento dei figli ad unirli), ma con intelligenza c’è un’altra alternanza: è la storia di come Giovanni si divida tra il Museo che sta per inaugurare in periferia e una parrocchia dove Monica deve prestare servizio per scontare una pena (a causa della cleptomania delle sorelle). Questo saltare di Giovanni tra un luogo e un altro (che con scelta cinematografica centrata sono uno accanto all’altro) dà un gran tempo e un buon ritmo al film.

È il classico tipo di trovate furbe di cui ha bisogno un sequel come questo. E al netto dell’espediente Cortellesi, Calenda e Andreotti riescono a tenere la medesima vivacità di sceneggiatura, a tenere fede ai presupposti (quella maniera in cui, come nelle commedie italiane classiche, è la varietà e l’eterogeneità dei comprimari a fare da forza motrice umoristica e caratteristica, Sonia Bergamasco in testa) sacrificando magari un po’ di battute e trovando un equilibrio con gli intenti del film.
Il contrasto di Come un gatto in tangenziale non è infatti diverso da quello molto abusato negli ultimi anni di Nord contro Sud o poveri contro ricchi, a cambiare semmai è il fine, perché a differenza delle altre commedie sul tema questa aveva ed ha intenti didattici, ambisce cioè a non fermarsi solo alla chiusura degli archi dei protagonisti ma anche a trovare delle sintesi tra le due anime del paese che mostrino una strada possibile.

Se il primo infatti parlava del contrasto di culture, questo secondo affianca gli interventi culturali sulle periferie (cioè il lungotermine) e l’impegno più concreto e diretto (cioè il breve termine, l’immediato). Giovanni che impazzisce quando solo viene iniziata la frase “Con la cultura non si…” è determinato a dimostrare il contrario e il film non ha dubbi: sta con lui. Lui è il povero diavolo vessato da Monica e la sua vita incasinata, lui deve conciliare le sue due anime, lui deve fare in modo che tutto si regga, lui alla fine troverà la sintesi, capendo come unire l’impegno del bel prete Luca Argentero (a cui tocca il personaggio più fiacco) e i suoi progetti culturali ambiziosi. In fondo era così anche nel primo, Giovanni è il vero protagonista, ora è solo più palese.

Quella che altrove sarebbe la ricetta per un fallimento (meno humor, cambio di paradigma e intenti didattici uniti a toni e linguaggi un po’ televisivi oltre ad un comparto musiche che è sempre terribile), diventa in Come un gatto in tangenziale 2 un sequel riuscito, uno che riesce sia a fare il solito lavoro dei sequel (calcando sulla replica dei momenti più apprezzati del precedente) sia a dimostrare di non aver finito le cose da dire riguardo questi due personaggi, così lontani e così forti una volta avvicinati. Soprattutto dimostra di poter attingere ad una riserva aurea di situazioni umoristiche sia di scrittura (cosa rara per le commedie italiane) sia più sbrigative e non per questo meno efficaci, fatte di recitazione e lavoro sul set, a cui contribuisce molto il mestiere e la chimica tra Paola Cortellesi e Antonio Albanese (il quale sembra ritrovare il suo smalto migliore solo con lei).
Anche il sentimentalismo obbligatorio è molto più delicato e, come spesso capita, per questo più efficace. Cosa c’è in Monica che fa sì che Giovanni non possa starle lontano, e come mai Monica non può non ammirare questa persona che, per i suoi standard, è così inetta?

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