Come può uno scoglio, la recensione
Nonostante non ci sia grande spazio per le risate, Come può uno scoglio si professa commedia e promuove il peggio come risposta a tutto
La recensione di Come può uno scoglio, il film di Pio e Amedeo in uscita in sala il 28 dicembre
Pio e Amedeo stavolta veramente decidono di non inventare niente di niente di niente. Riusano sia lo schema della commedia degli ultimi 15 anni, sia quello delle loro solite interazioni. Uno dei due è un popolano e l’altro è un popolano ripulito (il che significa che entrambi alla fine sono popolani), e il primo insegna al secondo a vivere in modo più schietto, promuovendo sottobanco tutto quello che in realtà sarebbe condannabile, dietro la scusa della spontaneità e della veracità, della furbizia e dell’intelligenza ignorante. Che stavolta l’intreccio faccia di uno un ereditiere e dell’altro il suo autista pregiudicato importa poco, come importa poco che nessuno provi a interpretare ma si limitino a riproporre personaggi (il momento più basso è quando recitano gli ubriachi, lì l’imbarazzo per interposta persona è quasi da tapparsi gli occhi).
Nonostante nei loro film spesso si dovrebbe ridere delle cretinerie dei loro personaggi, alla fine questi sono sempre assolti in virtù del risultato. Ce la fanno e quindi avevano ragione a essere così, e avevano ragione a essere così perché sono come siamo sempre stati. Opposti ai modernismi che ingrigiscono, opposti a qualsiasi novità, opposti allo stile di vita internazionale, opposti ai mutamenti, rivendicano quelle che poi sono le caratteristiche dominanti della società (e così facendo pettinano il loro pubblico), fingendo che queste siano sotto attacco dalle élite. Paladini del verace contro il sofisticato, nei film di Pio e Amedeo finalmente i più impongono ai meno l’esaltazione di quello che sono senza mai aver scelto di esserlo.