La recensione di Come per disincanto, disponibile su Disney+ dal 19 novembre
Come per disincanto è forse il Top Gun: Maverick di Amy Adams? Di certo arriva 15 anni dopo il primo film, quando ormai si credeva che non ci sarebbe più stato un sequel, con un team creativo completamente diverso, ambizioni diverse e la stessa attrice, ora molto più importante, potente e famosa di prima, nel ruolo di produttrice. Arriva su Disney+ e non più in sala perché i tempi sono cambiati ma, a differenza di Top Gun: Maverick, non vuole essere di nuovo sulla frontiera del suo genere, vuole semmai compiere un'operazione molto più semplice e convenzionale: vuole rivivere il 2007. È il sogno impossibile di qualsiasi sequel o remake nostalgico, è più Il principe cerca figlio che altro, cioè il desiderio di rimettere in scena la propria gioventù e (per gli spettatori) di rivedere la propria gioventù. Ma oltre a non essere possibile (noi siamo diversi, il cinema è diverso, AmyAdams è diversa) non è proprio il caso.
Con una dinamica opposta a quella del primo film, cioè non adattarsi al mondo reale da che si viene da quello delle favole ma semmai riadattarsi a quello delle favole un'altra volta (a segni invertiti, ora la protagonista rischia di diventare il villain), Come per disincanto non è diretto da Kevin Lima, un mestierante del mondo Disney, abituato a maneggiare quel tipo di produzioni con abilità, ma dal regista di What Men Want, Rock Of Ages e Una scatenata dozzina. Così una sceneggiatura pensata in funzione delle attrici, per far vedere cosa sono diventate nel frattempo (Amy Adams recita saltando tra angelica e spietata, Idina Menzel canta una canzone che sembra Let It Go e a un certo punto dice “Let It Grow”!!), rispetta tutto il mondo e la mitologia di Come d'incanto ma non aggiunge niente e soprattutto non fa cinema moderno, e questo significa automaticamente condannarsi all'insipienza e irrilevanza.
L'unico dettaglio contemporaneo è quello produttivo: Come per disincanto è un film molto più ricco e produttivamente valido del primo, ha un look & feel (oltre a un comparto scenografico e di costumi) di certo superiore, senza contare che ha l'ingiusta durata contemporanea: due ore per una storia che ne meritava certamente meno.
Per raggiungere a fatica questi 120 minuti allora il film deve sdoppiarsi. Ci sono infatti due storie in Come per disincanto: prima quella del trasloco da New York ad un sobborgo e poi quella dell'avventura per salvare i due mondi (sempre con questo apocalittisimo!). A metà film, quando passiamo da una trama all'altra, i personaggi assumono tutti un altro ruolo e stringono altri rapporti di forza e relazioni, in uno svolgimento lunghissimo e pieno di ribaltamenti, come fosse un'operetta teatrale. Quella che poteva essere una breve introduzione (il trasloco) è gonfiata a trama a sé, e così in questo moltiplicarsi di situazioni e allungarsi di trame si perde anche quella che, in un certo senso, poteva essere la trovata migliore e più fedele alla serie di film, cioè che le suburbie americane non sono diverse dai paesini delle favole, che hanno le loro queen locali, i loro servi e i loro meccanismi disneiani, senza che questo sia un gran complimento.