Come pecore in mezzo ai lupi, la recensione
La parte più incredibile di Come pecore in mezzo ai lupi è la sua normalità. Un noir italiano che non scade, non si umilia non crolla. Anzi!
La recensione di Come pecore in mezzo ai lupi, in uscita il 13 luglio in sala
È semplicemente tutto corretto in Come pecore in mezzo ai lupi, la sceneggiatura non sbaglia niente e mette anche a segno un paio di momenti imprevisti e cruciali. Nulla però è imprevisto quanto il fatto che questo ottimo film di genere sia anche un esordio. Lyda Patitucci dopo diversi anni come regista di seconda unità a Groenlandia (che produce anche questo suo esordio) in film come Il primo re, Veloce come il vento e Smetto quando voglio (più qualche lavoro televisivo), dimostra una tigna e una capacità di mantenere la coerenza del testo, aumentandolo, trasformandolo e dandogli una concretezza molto francese (dalla color correction allo stile recitativo fino alla scelta degli ambienti) che il cinema italiano di solito non conosce. Nello stesso preciso punto in cui i film italiani muoiono, falliscono, deludono e mostrano miseria intellettuale e di audacia, Come pecore in mezzo ai lupi tiene la schiena dritta. E il risultato si vede.
La dimostrazione finale di quanto Come pecore in mezzo ai lupi faccia la cosa più semplice e anche più difficile (essere un onesto B movie ben confezionato) la dà, per contrasto, il fatto che la sua protagonista, Isabella Ragonese, sia l’unica tessera fuori posto. L’impegno è fuori discussione, come le doti, ma non riesce mai a creare il carattere che serve, non riesce a svicolare le piccole convenzioni di recitazione da cinema italiano, non riesce a essere dura, severa o anche animata da sentimenti soppressi senza rifugiarsi in espressioni, movimenti e soluzioni recitative che non appartengono a questo genere e sembrano l’imitazione di quel che servirebbe. Eppure Come pecore in mezzo ai lupi ha creato intorno a lei e su di lei una cornice e un flow noir così impeccabili che il film funziona tantissimo lo stesso.