Come pecore in mezzo ai lupi, la recensione

La parte più incredibile di Come pecore in mezzo ai lupi è la sua normalità. Un noir italiano che non scade, non si umilia non crolla. Anzi!

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Come pecore in mezzo ai lupi, in uscita il 13 luglio in sala

Non c’è nessuno stupore nel leggere il solo nome di Filippo Gravino accredito alla sceneggiatura sui titoli di coda di Come pecore in mezzo ai lupi. Sono poco più di dieci anni che questo nome sta alla fine delle produzioni italiane più interessanti (Perez., alcuni episodi di Gomorra, Alaska, Veloce come il vento, Il primo re, Alì ha gli occhi azzurri, Fiore, La terra dei figli...). Come pecore in mezzo ai lupi è forse il suo script più semplice e dritto: una storia polar alla francese, fatta di doppi giochi (Vera, la protagonista, è un’infiltrata della polizia tra i criminali) e poste in gioco alte (l’infiltrazione le ha distrutto la vita e almeno deve far arrestare dei rapinatori di alto livello e pochi scrupoli), in cui si inserisce la carta matta del sentimento (tra i pesci piccoli arruolati per la grande rapina compare il fratello di Vera, la cui situazione disastrata lo spinge a cercare dei soldi per sottrarre la figlia ad una madre pericolosa). E come sempre nel polar non importa minimamente il giusto o lo sbagliato, il crimine o la giustizia, importa riuscire a capire come fare la cosa giusta in un mondo in cui è difficilissimo.

È semplicemente tutto corretto in Come pecore in mezzo ai lupi, la sceneggiatura non sbaglia niente e mette anche a segno un paio di momenti imprevisti e cruciali. Nulla però è imprevisto quanto il fatto che questo ottimo film di genere sia anche un esordio. Lyda Patitucci dopo diversi anni come regista di seconda unità a Groenlandia (che produce anche questo suo esordio) in film come Il primo re, Veloce come il vento e Smetto quando voglio (più qualche lavoro televisivo), dimostra una tigna e una capacità di mantenere la coerenza del testo, aumentandolo, trasformandolo e dandogli una concretezza molto francese (dalla color correction allo stile recitativo fino alla scelta degli ambienti) che il cinema italiano di solito non conosce. Nello stesso preciso punto in cui i film italiani muoiono, falliscono, deludono e mostrano miseria intellettuale e di audacia, Come pecore in mezzo ai lupi tiene la schiena dritta. E il risultato si vede.

Questo è un film spietato senza speranza che (incredibile!) lo è davvero non per senso del dovere ma perché sa benissimo quale sia il bello della sua storia, lo ha capito e conosce le tecniche per enfatizzarlo. Privo di qualsiasi velleità autoriale convenzionale, ambisce a essere quello che è perché sa che non è poco. Ovviamente esistono scelte autoriali ed esiste una dimensione d’autore in cui questo film, ma non è il solito pacchetto di aspirazioni intimiste che snaturano il genere e lo portano altrove. È anzi la consapevolezza che la lingua del polar è fatta di cadaveri (non solo di esseri umani), di risse, spari e sguardi sconfortati di poche parole. Allora, fatto tutto questo, davvero ci si può divertire scrivendo, dirigendo e interpretando una parte come quella di Tommaso Ragno, padre dei due protagonisti dalla professione incredibile e dal carisma pazzesco. Allora davvero si può creare un immaginario bieco in un contesto pienamente italiano.

La dimostrazione finale di quanto Come pecore in mezzo ai lupi faccia la cosa più semplice e anche più difficile (essere un onesto B movie ben confezionato) la dà, per contrasto, il fatto che la sua protagonista, Isabella Ragonese, sia l’unica tessera fuori posto. L’impegno è fuori discussione, come le doti, ma non riesce mai a creare il carattere che serve, non riesce a svicolare le piccole convenzioni di recitazione da cinema italiano, non riesce a essere dura, severa o anche animata da sentimenti soppressi senza rifugiarsi in espressioni, movimenti e soluzioni recitative che non appartengono a questo genere e sembrano l’imitazione di quel che servirebbe. Eppure Come pecore in mezzo ai lupi ha creato intorno a lei e su di lei una cornice e un flow noir così impeccabili che il film funziona tantissimo lo stesso.

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