Come l'Acqua per gli Elefanti - la recensione
Uno studente di veterinaria si trova a lavorare in un circo, innamorandosi della moglie del padrone. Voleva essere un melodramma poetico, ma risulta una noia mortale, con una recitazione mediocre...
Non mi ricordo esattamente per quale film (probabilmente qualche episodio di Harry Potter) mi lamentavo del fatto che fosse stata presa una storia che avrebbe dovuto essere magica e che, invece, risultava qualcosa che di sorprendente ed emozionante non aveva nulla. Dopo aver visto Come l'acqua per gli elefanti, ho l'impressione che potrei riprendere quella recensione e copincollarla pari pari.
Per prima cosa, vanno fatti i complimenti ai responsabili marketing della Fox americana, visto che sono riusciti ad ottenere un esordio notevole con una storia che non convince sotto nessun aspetto. La magia del circo promessa, che dovrebbe rendere la pellicola una fiaba dolceamara? Non c'è, sotto nessun punto di vista, considerando che 30 secondi a caso del peggior spettacolo del Cirque du Soleil sono più efficaci di tutto questo film. D'altra parte, anche tutto il lato negativo e più brutto del circo non traspare mai troppo (se non nel sadismo eccessivo di un personaggio), come se si preferissero immagini patinate al "sangue e sudore" che dovrebbero essere alla base di questo spettacolo. Nessuna scintilla (neanche tra i due piccioncini, la cui sintonia è pressoché inesistente) e nessuna vera emozione. Sembra quasi che i realizzatori si siano detti: abbiamo un romanzo che è piaciuto molto, basta portarlo sullo schermo e abbiamo ottenuto il nostro obiettivo. Peccato che il cinema non funzioni così: non bastano certo dei paesaggi notturni pseudopoetici (e discretamente falsi) per conquistare il cuore dello spettatore.
Di sicuro, viene da chiedersi perché a dirigere Come l'acqua per gli elefanti ci sia Francis Lawrence. Non voglio dire che sia un incapace (Constantine mi era anche piaciucchiato), ma proprio non ce lo vedo come un regista che passa dai comic book ai melodrammoni sentimentali ambientati negli anni trenta. E infatti, tutto quello che riesce a produrre è un Titanic dei poveri, anche perché non ha non c'è nessun coraggio di andare fino in fondo nelle passioni (si fa per dire) della storia.
Questa poi doveva essere la prova della maturità per Robert Pattinson (ma non l'avevamo già detto per Remember Me? Ecco, anche questo fa capire tante cose), ma decisamente è impossibile da promuovere. All'inizio recita troppo e in maniera enfatica, poi si contiene, ma le sue espressioni si limitano alla risatina arguta e al "guardate quanto mi tormento". Senza dimenticare un paio di momenti in cui fa capire chiaramente che è un divo e se ne rende conto. Un po' poco per uno che ha ambizioni di cinema alto.
Ci si aspetta molto di più anche dal premio Oscar Reese Witherspoon, anche se certo aveva il ruolo più ingrato di tutti. A questo punto, non era meglio mettere una semplice modella con un bel faccino e non fornire aspettative eccessive? Almeno, le ninne nanne ai cavalli potevano risparmiarcele.
Christoph Waltz conferma una cosa semplice, ossia il fatto che Hollywood, dopo averlo scoperto con Tarantino e Bastardi senza gloria, lo stia distruggendo. Ovviamente, nulla gli vieta di continuare ad accettare villain improbabili e macchiettistici per i prossimi dieci anni, ma l'augurio è che trovi presto ruoli migliori di questo.
Alla fine, si salvano giusto un paio di scene (un montaggio verso la fine e relativo a una scena fondamentale è assolutamente notevole), ma le situazioni che fanno desiderare una persona diversa dietro la macchina da presa sono molte di più, a cominciare proprio da un buon cast sprecato. Peccato...