Come far Perdere la Testa al Capo, la recensione
Il titolo dice tutto, Come Far Perdere La Testa Al Capo, ma una scrittura sopraffina lavora di dettaglio
Come Far Perdere La Testa Al Capo è la prima di queste produzioni originali Netflix a fare esattamente il lavoro che facevano una volta le commedie romantiche: rimette al centro di tutto un’idea di commedia divertente e sagace, fa bella mostra di una sceneggiatrice ottima (Katie Silberman, già co-produttrice di alcuni dei film medi migliori degli ultimi anni) e mette sotto il riflettore due attori abbastanza sottovalutati o sottoimpiegati, Glen Powell e Zoey Deutch (a dire il vero già insieme in Tutti Vogliono Qualcosa!!, perché Linklater non sbaglia mai). Per riuscirci imbastisce la storia più vecchia del mondo, quella di due cupido che cercano di accoppiare due persone indirizzandone il rapporto, i quali finiscono per innamorarsi a loro volta, e la ambienta nel mondo che abbia senso oggi, in cui ogni lavoro è oro e si è disposti a tutto per tenerlo stretto, anche a stare sotto un boss terribile e dittatore.
Nulla di eccessivamente pensoso (sarebbe totalmente fuori genere) ma tanto di sottilmente intelligente. Questo non è un film di intreccio (risaputo e semplice) ma di personaggi, di come questi abitino il loro mondo, di come si muovano in esso e di cosa accada intorno alla loro storia risaputa.
Non stupisce quindi che i caratteri migliori siano quelli marginali. Il coinquilino gay del protagonista (incredibilmente non uno stereotipo!) e soprattutto i due boss, paradossali come comanda una commedia ma anche umani quando serve, fallati, scemi eppur sagaci, come la loro descrizione impone. Non è facile scrivere, così, creare profondità con pochissime righe di dialogo e lavorare sulla leggerezza quando si hanno idee serie.