Come ammazzare il capo 2, la recensione

Orfani dei loro capi i tre protagonisti di Come ammazzare il capo 2 sono abbandonati alla loro comicità per la maggior parte del film e questo non basta

Critico e giornalista cinematografico


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Ha perso tutta la seconda parte del titolo italiano nel passaggio al sequel (nel precedente là dove ora c'è un 2 stava scritto: "...e vivere felici") il film che è diventato un successo con la direzione di Seth Gordon e all'ottima idea di avere gli attori più riconoscibili e carismatici nei ruoli di villain. Purtroppo assieme alla seconda parte del titolo ha perso anche la sua caratteristica migliore e ora torna riesumando i precedenti orribili capi solo marginalmente per una nuova missione.

L'approccio di Sean Anders non è quello di Gordon, si piega decisamente di più sul trio protagonista e la loro interazione, cerca di impostare la commedia su di loro più che sui capi (la new entry sarebbe in teoria molto forte: Christoph Waltz) e fallisce l'obiettivo. Il trio Sudeikis, Bateman, Day infatti, detto in due parole, non ha la forza comica necessaria a tenere un film da solo, necessiterebbe di un maggiore aiuto, di una sceneggiatura che gli scriva intorno situazioni in cui muoversi con agilità invece che doverne ogni volta uscire a parole, a furia di dialoghi sovrapposti che conducono costantemente alle medesime incomprensioni ripetute ad oltranza. Se nel primo film il continuo passarsi la palla e interagire con attori veri e più esperti (a cui erano affidati personaggi più interessanti) dava un altro passo al film, qui la loro assenza porta tutto il ritmo ai minimi.

Solo nella seconda metà qualcosa sembra muoversi quando Come ammazzare il capo 2 diventa in maniera più chiara ed esplicita una presa in giro dei thriller con riscatto. La sceneggiatura aumenta in corposità, le battute lasciano il posto ad un umorismo più montato e recitato (bellissima la sequenza in cui immaginano come andrà il loro piano, che contiene anche la migliore espressione di Christoph Waltz di tutto il film, unico vero momento di commedia) e per alcuni momenti tutto sembra avere davvero senso dopo un'eccessivamente lunga prima parte mal dialogata.

Sembra evidente che il coinvolgimento marginale di Kevin Spacey sia dovuto a questioni contrattuali, tuttavia la sua comparsa in palese ambiguità metatestuale con House of cards è un piccolo gioiello e ricorda a tutti quale fosse il punto di forza del film in origine.

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