Coma (2022), la recensione

Lettera di speranza a una figlia distante, Coma è un lucido quadro di una condizione giovanile amplificata dal lockdown

Condividi

La nostra recensione di Coma diretto da Bertrand Bonello e presentato al Torino Film Festival

Il lockdown causato dal Covid era una condizione ideale, per Bertrand Bonello, per continuare a ritrarre la condizione di smarrimento dei giovani al centro del suoi ultimi film. Come in Nocturama e in Zombi Child, in Coma c'è la realtà, contingente o storica, a incombere su di loro, questa volta senza possibilità di scelta: l'isolamento è qualcosa che bisogna necessariamente accettare. Potrebbe sembrare un presupposto costruito ad arte, ma tutti sappiamo non lo è. E se già prima i suoi protagonisti emergevano come disconnessi, anestetizzati, insieme agli altri ma intimamente soli, ora questo sentimento non può che amplificarsi.

Nel quadro pandemico, il regista decide di realizzare un piccolo film con pochi mezzi e dedicarlo a sua figlia Anne, da poco divenuta maggiorenne. Nelle prime scene, scorrono in sovraimpressione le parole che questi le scrive in una lettera, e poi vediamo la ragazza, intrepretata da Louise Labeque (già protagonista di Zombi Child) nella sua stanza, mentre passa le giornate a guardare il video di una influencer tutto fare, Patricia Coma, o è immersa nei propri sogni, in cui ci è concesso entrare. Lo stato di abbandono è tale da immaginare di far parlare e interagire le sue bambole, simil-Barbie e simil-Ken,mettendo in scene da sfacciata sitcom, risate pre-registrate comprese. Persino una storia di banali tradimenti e rancori sembra migliore di quella che la protagonista sta vivendo. Assistiamo anche a sequenze animate in rotoscope, che, come in Waking Life, sono occasione per raccontare drammi esistenziali, in cui si ribadisce tale condizione.

Un sentimento fortissimo anima il regista-padre, che guarda la sua protagonista-figlia con affetto, ma anche con desolazione e impotenza per non riuscire a colmare il distacco che li separa, per poter fare qualcosa per aiutarla. Alcune dinamiche (l'influencer che passa dalle lezioni di tedesco a quelle di cucina, le videochiamate con gli amici in cui si scherza sul serial killer preferito) possono anche essere divertenti per lo spettatore, ma mai lo sono per chi racconta. La routine del lockdown, così come i momenti in cui emergono gli istinti suicidi della ragazza, i suoi sogni dove si perde nella selva oscura, sono messi in scena con uno sguardo lucidissimo e molto intenso. Bonello viene meno in parte a quello stile ipnotico che aveva caratterizzato i suoi precedenti film, ma non a quello più etereo, per raffigurare giovani tanto presenti quanto evanescenti. Sono sempre i corpi il centro di tutto, qui imprigionati in un luogo ancora più chiuso del centro commerciale di Nocturama, senza possibilità di relazione concreta, ma capaci ancora una volta di animarsi, trovare un momento di pace, in una suggestiva sequenza di ballo.

Se Coma dunque illustra con precisione una condizione esistenziale e storica, bisogna comunque dare conto di come, per il suo concept di base, i pur già pochi 80 minuti di durata risultino alla fine un po' diluiti. Assistiamo infatti ad alcune spiegazioni verbali di troppo, dinamiche ripetute più volte, aspetto che però possiamo comprendere, alla luce dello spirito che anima il film. In un mix di formati e stili, sogni e incubi, quello che infatti emerge alla fine è soprattutto il messaggio di speranza. Attraverso le immagini di disastri ambientali con cui si apre e si chiude l'opera, il regista pone dunque un invito alla figlia a trovare la forza di cambiare se stessa e gli altri, a riempire il proprio vuoto. A uscire dal Coma di una generazione.

Continua a leggere su BadTaste