Coma (2022), la recensione
Lettera di speranza a una figlia distante, Coma è un lucido quadro di una condizione giovanile amplificata dal lockdown
La nostra recensione di Coma diretto da Bertrand Bonello e presentato al Torino Film Festival
Nel quadro pandemico, il regista decide di realizzare un piccolo film con pochi mezzi e dedicarlo a sua figlia Anne, da poco divenuta maggiorenne. Nelle prime scene, scorrono in sovraimpressione le parole che questi le scrive in una lettera, e poi vediamo la ragazza, intrepretata da Louise Labeque (già protagonista di Zombi Child) nella sua stanza, mentre passa le giornate a guardare il video di una influencer tutto fare, Patricia Coma, o è immersa nei propri sogni, in cui ci è concesso entrare. Lo stato di abbandono è tale da immaginare di far parlare e interagire le sue bambole, simil-Barbie e simil-Ken,mettendo in scene da sfacciata sitcom, risate pre-registrate comprese. Persino una storia di banali tradimenti e rancori sembra migliore di quella che la protagonista sta vivendo. Assistiamo anche a sequenze animate in rotoscope, che, come in Waking Life, sono occasione per raccontare drammi esistenziali, in cui si ribadisce tale condizione.
Se Coma dunque illustra con precisione una condizione esistenziale e storica, bisogna comunque dare conto di come, per il suo concept di base, i pur già pochi 80 minuti di durata risultino alla fine un po' diluiti. Assistiamo infatti ad alcune spiegazioni verbali di troppo, dinamiche ripetute più volte, aspetto che però possiamo comprendere, alla luce dello spirito che anima il film. In un mix di formati e stili, sogni e incubi, quello che infatti emerge alla fine è soprattutto il messaggio di speranza. Attraverso le immagini di disastri ambientali con cui si apre e si chiude l'opera, il regista pone dunque un invito alla figlia a trovare la forza di cambiare se stessa e gli altri, a riempire il proprio vuoto. A uscire dal Coma di una generazione.