Colpi di Fulmine, la recensione

Recensita la nuova commedia di Natale con Christian de Sica, diretta da Neri Parenti: Colpi di Fulmine...

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Se siete un minimo appassionati di cinema e non siete stati dotati dalla natura della memoria a breve termine di un pesce rosso, ricorderete certamente il caso natalizio dello scorso anno: il tanto pubblicizzato cinepanettone Vacanze di Natale a Cortina surclassato, nel weekend d'esordio, da Sherlock Holmes - Gioco di Ombre di Guy Ritchie. Nell'Italietta dei fischi e lazzi, delle volgarità a spron battuto e delle gag trite e ritrite, l'evento fu epocale e fece intravedere a molti speranzosi cinefili la fine del gretto predominio della comicità natalizia a base di peti, parolacce e altre raffinatezze del genere.

A un anno di distanza, esce Colpi di Fulmine. Regia di Neri Parenti, regista-simbolo del cinepanettone. Tra i protagonisti, Christian De Sica. Locandina con titolone rosso su fondo bianco. Tutti i crismi del cinepanettone, a prima vista. Ma, c'è un ma. I punti di contatto più evidenti si fermano qui, perché Colpi di Fulmine sembra trattare tutt'altra storia rispetto alle vicende di tradimenti, corna e bicorna di cui sono farcite le pellicole targate Luigi e Aurelio De Laurentiis.

Prima, fondamentale differenza: la struttura. Il film è nettamente diviso in due episodi, indipendenti l'uno dall'altro. Il primo nonché più vacillante capitolo ha come protagonista uno psichiatra (De Sica) indagato per evasione fiscale, che decide su due piedi di fuggire in Trentino e di fingersi parroco di un paesino montano. Peccato che ci si metta di mezzo l'amore, nel momento in cui conosce per caso un bel maresciallo dei carabinieri (Ranieri). La donna sta per sposarsi, il tempo stringe e il dottore non può rinunciare al suo travestimento.

Diamo un'occhiata ai protagonisti del primo episodio: De Sica ha al suo fianco Luisa Ranieri, attrice che vanta numerosi ruoli drammatici, in particolare nelle italiche fiction. C'è poi Arisa nel ruolo della perpetua del parroco fasullo. Arisa, che con il cinema non ha proprio nulla da spartire ma che, da quando si è tolta quegli occhiali terrificanti abbandonando il look da uccellaccio del malaugurio, ha deciso di gettarsi a capofitto un po' dovunque, in stile Belen Rodriguez. Lo scetticismo sulle sue qualità attoriali, c'è da dirlo, svanisce dopo due minuti, grazie ad una performance molto convincente che fa impallidire quella della Ranieri - per quanto non ci voglia esattamente un genio per mettere in ombra la discutibile interpretazione della prosperosa bruna partenopea.

Questo il cast del primo, debolissimo capitolo, a cui fa da contrafforte efficace la seconda storia sui colpi di fulmine, dedicato all'amore di un ampolloso, abbottonatissimo diplomatico (Greg) nei confronti di una ruspante pescivendola dall'eloquio piuttosto rude (Anna Foglietta). Con l'aiuto dell'autista (Lillo), l'ambasciatore cercherà di adattarsi ai gusti della ragazza, in una sorta di My Fair Lady al contrario che dà vita a gag spiritose e quasi mai volgari. L'episodio è certo più vispo rispetto al primo, ma comunque non decolla più di tanto e risulta strascicato e stiracchiato come un calzino troppo piccolo da infilare su un piede numero 45.

Più che sull'effettiva validità del film, è forse più interessante concentrarsi sui possibili motivi che hanno spinto Parenti e, soprattutto, De Laurentiis a cambiare direzione rispetto ai cinepanettoni. Certo, l'esordio piuttosto buio dell'anno scorso deve aver fatto comprendere agli astuti produttori che il tempo delle burle adulterine è momentaneamente finito, e li ha fatti guardare verso la grande commedia natalizia estera, di cui l'esempio forse più celebre e fulgido è il delizioso Love Actually di Richard Curtis. L'idea è ottima, e il film lo dimostra: pur non brillando in nessuno dei due episodi per originalità di soggetto, le trovate migliori sono proprio quelle scevre da volgarità e maggiormente improntate all'equivoco dialogico. Viceversa il retaggio dei cinepanettoni, presente soprattutto nel primo episodio, è ciò che affossa l'intera pellicola, riducendola ad una bizzarra via di mezzo, ad una sorta di film di passaggio da un'era ben definita ad una ancora piuttosto in forse.

Deprime, ancora una volta, che i produttori non abbiano avuto il coraggio di osare. La presenza di De Sica era obbligata per assicurare la presenza in sala del pubblico di affezionati, perché i pur bravissimi Lillo e Greg, da soli, non sarebbero stati una garanzia sufficiente per due vecchie volpi come Luigi e Aurelio De Laurentiis. Tuttavia, De Sica ha in passato dimostrato di essere a proprio agio anche lavorando su corde meno volgari e più drammatiche: peccato non aver tentato di sfruttarlo diversamente in un contesto che, sulla carta, appariva certo meno squallido di quello delle triviali pellicole natalizie che siamo stati costretti a vedere in cima al botteghino negli ultimi decenni.

Pazienza. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo comunque aggrapparci alla certezza che, rispetto al passato, la percentuale di "li mortacci tua" e analoghe fioriture lessicali sia comunque drasticamente ridotta. Accontentiamoci di ciò che abbiamo. O, al limite, compriamoci il dvd di Love Actually e godiamocelo sul divano di casa, per rimetterci in pace con la commedia, col Natale, col mondo e col cinema...

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