Colosso: Linea di Sangue, la recensione

Le origini di Peter Raspuntin, l'X-Man conosciuto come Colosso, vengono rivoluzionate da un viaggio nella madre patria Russia...

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Pubblicato nel 2005 come miniserie a sé stante, Colossus: Bloodline ha visto la luce sugli albi di casa nostra solo in questi mesi, quasi dieci anni dopo la sua uscita, all’interno della regolare testata degli Incredibili X-Men pubblicata da Panini. Com’è ovvio dedurre dal titolo, la storia promette di puntare i riflettori sull’X-Man corazzato e sulla sua dinastia, e in questo mantiene ampiamente la promessa, guidandoci in un’indagine sul passato della famiglia Rasputin che ci riporta fino ai primi anni del millenovecento.

Sommando assieme Rasputin, Russia e primi anni del millenovecento, è facile intuire dove si vuole andare a parare, e la risposta è sì: Peter Rasputin (e assieme a lui suo fratello, sua sorella e ogni altro suo parente) sono discendenti del famigerato monaco pazzo, “quel” Grigori Rasputin in cui figura storica, mito, millantati poteri soprannaturali e altro ancora si fondono fino a diventare indistinguibili. Colosso arriva a questa rivelazione dopo essere tornato in Russia per fare luce su una catena di delitti che sta appunto falcidiando tutti i suoi parenti ancora esistenti, vicini o remoti che siano, e lo fa assieme alla bella figura di Larisa, sua cugina, che sospetta che dietro quell’inspiegabile catena di delitti ci sia qualcosa di più sinistro.

I suoi sospetti sono fin troppo fondati, in quanto è proprio Sinistro in persona il responsabile dei delitti: la vecchia nemesi degli X-Men aveva riconosciuto nel Rasputin originale un precoce e potente mutante, e lo aveva aiutato a vincere la morte stessa assicurandogli di potersi reincarnare nei suoi discendenti. Ma con il proliferare dei suoi discendenti la sua essenza si era diluita fino a diventare poco più di un sussurro nell’inconscio, e soltanto eliminando tutti i discendenti tranne uno il Rasputin originale potrà reincarnarsi e tornare a vivere.

Questa complicata premessa, necessaria per comprendere il meccanismo alla base della vicenda, occupa in realtà anche buona parte della storia, come narrato da Nathaniel Essex stesso nel tratto centrale della serie. Ed è forse uno dei primi tratti che saltano all’occhio in Bloodline: è una storia dove l’azione e gli scontri passano quasi in secondo piano rispetto ai dialoghi e ai confronti interpersonali. E se questo può essere in certe occasioni un vantaggio, in quanto regala qualche buon momento di approfondimento e di introspezione dei protagonisti, in altri punti sfiora livelli eccessivi di “expository dialogue”: il tempo dedicato a spiegare cosa sta succedendo è superiore a quello dedicato a mostrarlo, e in genere questo non è un buon segno.

Assieme a Colosso e Sinistro il terzo protagonista, in bilico tra i due, è Mikhail Rasputin, che parte come longa manus del genetista, assistendolo nei suoi delitti con l’ambizione di diventare il ricettacolo del redivivo Rasputin, ma che col progredire della serie vacilla nelle sue certezze e riscopre barlumi di umanità che credeva di avere perduto per sempre. Sarà proprio lui a sacrificarsi per far sì che Rasputin non possa tornare a vivere, sventando i progetti di Sinistro e condannandosi a un’eternità in un limbo senza tempo per donare al fratello la speranza di una nuova vita al di fuori dell’ombra del suo perverso antenato.

Ci sono varie premesse interessanti e molte buone idee alla base di Bloodline, ma non tutte esplicitano il potenziale che sembravano racchiudere. L’idea di collegare il Rasputin mutante al Rasputin storico può apparire forzata inizialmente, ma è tutto sommato un buon tentativo di dare un’origine e un leit motiv al “lato oscuro” dei Rasputin, un elemento ricorrente che ha caratterizzato nel corso degli anni sia Peter che Illyana che Mikhail. Lascia perplessi quindi l’introduzione di questo elemento senza poi vederlo mai più ripreso negli anni successivi... e sì che di occasioni per cedere al suo “lato oscuro” Peter ne avrà a bizzeffe (basti pensare al suo periodo di militanza come nuovo Fenomeno sotto Kieron Gillen).

L’antagonista principale della serie, Sinistro, è ben caratterizzato e si muove sui binari a lui più congeniali: manipolatore dietro le quinte, artefice di un piano che affonda le sue radici nella storia passata e ostinatamente determinato a immolare vite e sentimenti umani sull’altare della scienza e dell’evoluzione. Anche in questo caso, può apparire strana la sua scelta come antagonista principale, ma osservando il quadro generale col senno di poi, abbiamo appreso in tempi recenti che Sinistro, oltre alla sua tradizionale ossessione per i Summers e Gambit, è stato una presenza influente anche nel passato di Logan e perfino in quello di Xavier, quindi non è poi così difficile credere che abbia “stalkerato” anche gli altri X-Men nei primi anni di età... o addirittura prima della loro nascita. Come spesso accade, è il villain a beneficiare delle battute a effetto e dei momenti che più “bucano la tavola”, e Hine trova anche un fugace momento per toccare, tramite il rimprovero di un ribelle Mikhail, il nervo atrofizzato ma pur sempre scoperto della sua perduta umanità, rifacendosi alle sue tragiche origini dell’era vittoriana e mettendo in luce le differenze tra i due.

Mikhail e il suo rapporto con Colosso sono forse gli elementi migliori e da ricordare della storia. Laddove in precedenza il fratello maggiore di Colosso era stato dipinto come un semplice pazzo criminale e omicida a tutto tondo, messo di fronte ai legami familiari più cari si guadagna un apprezzabile approfondimento e una degna uscita di scena (definitiva quanto può esserlo un’uscita di scena nell’Universo Marvel, ovviamente!), aiutando al contempo Colosso a ritrovare la parte migliore di sé e a riscuotersi dai tormenti che lo angustiano da tempo. I riferimenti agli anni di gioventù tra i due fratelli sono sinceri e ben descritti, e donano a una vicenda appesantita da molti elementi macchinosi e soprannaturali una gradita dose di umanità e di semplicità.

A storia conclusa, la pecca principale di Bloodline sta forse proprio nel limbo in cui è finito non Mikhail, ma la premessa della serie stessa. La verbosità eccessiva usata per illustrare i meccanismi della trama avrebbe trovato una sua giustificazione se la storia fosse diventata una pietra fondante su cui costruire altro, ma così come stanno le cose, il capitolo della discendenza da Rasputin è stato aperto e chiuso in un’unica soluzione, e quindi si resta con l’impressione che alla costruzione di un background così complesso dovessero seguire degli sviluppi che non ci sono mai stati. Naturalmente, mai dire mai: può essere che in futuro qualcuno decida di riprendere le fila della discendenza di Rasputin e donare un doveroso seguito o una conclusione a questa storia, cosa che cambierebbe alla radice l’ottica con cui osservarla. Fino ad allora, tuttavia, possiamo solo considerarla una parentesi a tratti interessante ma tutt’altro che essenziale nello sviluppo del personaggio principale a cui era dedicata. Le scene di lotta e di riconciliazione tra fratelli e la presenza di un villain sempre intrigante ne fanno comunque una lettura piacevole, anche se non memorabile.

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