Collateral Beauty, la recensione
Pensato come un film raffinato, dai mille livelli di lettura e dall'ardito parallelo tra recitazione e realismo, Collateral Beauty è il fallimento dell'anno
Sembrano i termini di una scommessa tra ricchi magnati malvagi e invece è il cast e la crew di Collateral Beauty, uno dei grandi punti interrogativi dell’annata appena iniziata.
La scommessa finisce male, il film è terribile e David Frankel (regista di Il Diavolo Veste Prada, Io e Marley e del bello e sottovalutato Un Anno da Leoni) non riesce a dare un senso o una minima parvenza di decenza allo script indecente di Allan Loeb (una schiera di sceneggiature agghiaccianti in carriera tra cui si fanno notare quelle di Rock of Ages, Wall Street - Il Denaro Non Dorme Mai, 21 e Mia Moglie Per Finta), che stavolta alza l’asticella e addirittura ambisce a fare un film-puzzle con finale aperto e grandissima metafora sul fare cinema e recitare.
Al centro di tutto c’è l’inganno di tre “amici” e colleghi di Will Smith, il quale, disperato per un lutto terribile, non parla con nessuno, non fa niente, non lavora e non consente ai tre di vendere la società che dirigono come vorrebbero. Allora ingaggiano una detective privata che scopre che Smith invia lettere a Tempo, Amore e Morte, come fossero persone. Per farlo rinsavire mirano a dimostrare che è pazzo e pagano tre attori per interpretare proprio Tempo, Amore e Morte davanti a lui, come i fantasmi dei Natali di Dickens. Saranno girati dei video di nascosto che, una volta modificati, mostreranno il povero disperato parlare con nessuno e lo convinceranno che è pazzo.I tre attori devono rendere conto ognuno ad uno dei tre amici del malcapitato, nel farlo stringeranno un legame con lui o lei e, guarda caso, ognuno di questi avrebbe bisogno per la sua vita proprio dei consigli che, rispettivamente Amore, Tempo e Morte, possono dare.
Forse hanno recitato, forse davvero lo erano, forse i tre amici erano i veri bisognosi di un intervento magico. Forse invece no. Forse recitare, fingere e simulare non è così distante dalla realtà, una performance È ciò che finge e mettere in scena i sentimenti ha una relazione con il provarli davvero. In questo film delirante, pieno di implausibili assurdità e intrecci che vorrebbero essere precisi ma si reggono su una vagonata di coincidenze a cui non si può credere, nessuna di queste ipotesi viene davvero scandagliata e ogni attore sembra cavalcare la follia della sceneggiatura. Come se fossimo in una commedia shakespeariana le visite degli spiriti (che forse non lo erano) hanno una teatralità così fastidiosa e la pretesa di stare viaggiando al di sopra della media delle riflessioni degli altri film è così pomposa, che anche se Collateral Beauty fosse un film migliore di quello che è sarebbe insopportabile.
Figuriamoci così!