Coded Bias, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020
Il documentario Coded Bias affronta il tema dell'Intelligenza Artificiale dando spazio alle discriminazioni e ai pregiudizi che rendono la tecnologia un riflesso della società
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Il modo in cui sarà possibile, e legale, usare l'Intelligenza Artificiale nella vita quotidiana è da tempo al centro di riflessioni e dibattiti. L'interessante documentario Coded Bias, realizzato dalla regista e produttrice Shalini Kantayya, prova ora a offrire una chiave di lettura molto critica che enfatizza la mancanza di imparzialità alla base di questa evoluzione della tecnologia che sta venendo applicata a molti aspetti della vita quotidiana: dalla valutazione dei curriculum di potenziali dipendenti ai pagamenti, senza dimenticare l'identificazione di potenziali criminali e il salvataggio di preferenze personali e abitudini di consumo.
Joy Boulamwini, ricercatrice del MIT Media Lab, si è però resa conto che la maggior parte dei programmi di riconoscimento facciale non identificano in modo corretto i volti di chi ha una carnagione scura e delle donne e ha iniziato a compiere uno studio accurato per verificare e valutare l'eventuale presenza di pregiudizi presenti negli algoritmi utilizzati. I risultati hanno portato alla necessità di coinvolgere la politica e i cittadini in un'inevitabile riflessione legata a questa inaspettata evoluzione delle discriminazioni e dei pregiudizi che continuano a essere radicati nella società.
Il progetto, presentato al Trieste Science + Fiction 2020 dopo l'anteprima mondiale al Sundance Film Festival, è un'interessante analisi di una nuova forma di razzismo e di discriminazione nei confronti della diversità e delle donne e risulta molto stimolante seguire la lotta compiuta da Buolamwini, fondatrice di Algorithmic Justice League, dall'autrice di numerosi libri sull'argomento Cathy O'Neil e da esperte, scienziate, matematiche e persone attive nel campo dell'etica che cercano di sensibilizzare l'opinione pubblica sui possibili rischi nei confronti delle libertà civili legate all'uso di sistemi automatici che, come è già realtà in Cina, potrebbero presto influenzare ogni aspetto della nostra quotidianità, con risultati che sembrano tratti da opere letterarie e cinematografiche che fino a pochi anni fa erano considerate di pura fantascienza.
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Joy Boulamwini, ricercatrice del MIT Media Lab, si è però resa conto che la maggior parte dei programmi di riconoscimento facciale non identificano in modo corretto i volti di chi ha una carnagione scura e delle donne e ha iniziato a compiere uno studio accurato per verificare e valutare l'eventuale presenza di pregiudizi presenti negli algoritmi utilizzati. I risultati hanno portato alla necessità di coinvolgere la politica e i cittadini in un'inevitabile riflessione legata a questa inaspettata evoluzione delle discriminazioni e dei pregiudizi che continuano a essere radicati nella società.
L'elemento che manca a Coded Bias è però lo spazio alla "difesa", non essendo presente alcuna intervista a chi ha sviluppato tecnicamente i software di riconoscimento facciale o l'Intelligenza Artificiale usata in varie parti del mondo.
Il documentario risulta comunque particolarmente interessante per la sua capacità di raccontare in modo semplice, e comprensibile anche a chi non ha alcuna conoscenza tecnica, una nuova realtà con cui, inevitabilmente, faremo presto tutti i conti in modo quotidiano.