Cobweb, la recensione

Per quanto la trama sia avvincente e la dimensione comica accattivante, in Cobweb lo stile di Kim Jee-woon perde in forza visiva, l’autore mostra e parla di cinema continuamente ma non riesce a costruirci sopra un discorso forte e coerente.

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La recensione di Cobewb, film di Kim Jee-woon presentato a Cannes 76

Può sembrare assurdo, ma è proprio così: il regista di thriller magnifici e angoscianti Kim Jee-woon (I Saw the Devil, Two Sisters, Bittersweet Life) è lo stesso dietro la macchina da presa di Cobweb. Dopo l’intensità di un cinema della tensione, asciutto nello stile e crudo negli intenti, Kim Jee-woon con Cobewb ha infatti messo da parte il perturbante per inseguire un sogno surreale nel segno della commedia degli equivoci; una storia di cinema e di passioni (quella di un regista chiamato Kim… ma non solo) ristretta nell’unica location di un teatro di posa.

Per quanto la trama sia avvincente e la dimensione comica accattivante, in Cobweb lo stile di Kim Jee-woon perde in forza visiva, l’autore mostra e parla di cinema continuamente ma non riesce a costruirci sopra un discorso forte e coerente.

L’idea e il tono di Cobweb sono molti simili a quelli di Cut! Zombi contro zombi di Michel Hazanavicious: si inizia con il film nel film (in questo caso un melò di serie B con accenti thriller) per poi capire che quello che stiamo vedendo è il lavoro del protagonista, un regista (interpretato da Song Kang-ho) che sente di non stare raggiungendo il suo massimo potenziale e la cui ossessione per il mestiere (pareggiare il suo maestro, il deceduto regista Shin) porterà lui e i suoi collaboratori a confondere realtà e finzione. Letteralmente sequestrata dal regista dentro lo studio, la troupe in due giorni viene obbligata a rigirare il finale del film che hanno appena concluso, essendo il regista convinto che una versione più tragica e sanguinaria renderà il film un capolavoro e risolleverà il suo nome (ormai associato a film di scarsa qualità).

Per quanto si speri il contrario, Cobweb è invece decisamente più attaccato al reale di quanto non lo sia all’idea di finzione. Il film è tutto incentrato sugli intrighi tra i personaggi, gag, situazioni comiche e fraintendimenti che sono in sé spassosi (l’executive dello studio che crede si tratti di un film anti-comunista, l’attore che pensa di essere un detective, l’astio tra l’attrice protagonista e la giovane produttrice) ma che a conti fatti non portano da nessuna parte se non verso una risoluzione puramente narrativa, mai stilistica o più profondamente riflessiva.

La trama si prolunga ad oltranza - più di due ore, tantissimo per una commedia a ritmo slapstick - per arrivare (questa è l’impressione) in un certo modo al finale che poi vedremo, per fare coincidere passato/presente/aspirazione cinematografica secondo una precisa immagine allegorica. Il fatto è che lo sforzo che fa Kim Jee-woon per arrivarci sembra esagerato se confrontato con la poca soddisfazione estetica che regala. Nemmeno Song Kang-ho, ridotto alla macchietta di un personaggio sempre “in potenza”, riesce a spiccare.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Cobweb? Scrivetelo nei commenti!

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