Clown, la recensione

Sulla figura usuratissima del clown dell'orrore John Watts riesce ad incentrare un horror ottimo e ben tirato che inventa atmosfere di paura dove non pensavamo di trovarne

Critico e giornalista cinematografico


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Quanto può essere difficile fare ancora un film horror su un clown?

Non molto se il genere ti piace davvero.

Lungo tutto Clown, di John Watts, si ha la netta impressione che a fronte di mille film di paura che vediamo ogni mese questo sia uno di quelli in cui l'originalità non sta nè nello spunto nè nella storia ma nell'approccio serio e timoroso alla materia. Nel piacere di indugiare là dove lo spirito è meno a suo agio.
Storia e spunto anzi sarebbero da ridere, vengono da uno scherzo postato su YouTube dallo stesso Watts (come ha raccontato nell'intervista che gli abbiamo fatto) che è piaciuto a Eli Roth il quale ha deciso di farne un film. C'è un padre che si traveste da clown per la festa del figlio ma non riesce più a levarsi il costume. Scopre infatti che, come nei film degli anni '80, quel vestito rimediato in una cantina polverosa è in realtà la pelle di un demone ed ora che ne è posseduto è diventata la sua pelle. Il vestito è un'estensione della carne, non è più tessuto, e con il passare dei giorni la maledizione peggiora.

Dunque dopo una prima parte davvero tradizionale (incontro fortuito con l'oggetto maledetto, contaminazione e scoperta della maledizione) ne parte una meno canonica in cui la furia omicida del demone cresce e si concretizza in bambini mangiati con grande efferatezza. Non solo, l'altra intuizione forte è che il protagonista perda progressivamente in umanità, diventi lentamente più demone che uomo e che questo lo si veda in una deformazione graduale. Clown infatti inizia come un film demoniaco ma scarta subito di lato per diventare un body horror e appassionarsi alle mutazioni della carne. Da che è un uomo con costume il protagonista si trasforma con calma in un clown dal vero, con piedi giganti e volto bianco (per dire due elementi). Come se il film di Watts prendesse l'idea migliore di La ballata dell'odio e dell'amore (il pagliaccio che alla fine si sfigura per fare realmente quel che il trucco simula) per trasferire sulla carne un trucco maligno. È il clown spaventoso classico (quello preciso, colorato e ben truccato) che diventa lentamente quello moderno (con un vestito e un trucco sfatto, da barbone) grazie ad una mutazione sofferta.

Può sembrare molto ordinario il muoversi tra scream queen, maledizioni ancestrali, anziani che sembrano sapere tutto, vittime predestinate e confronti finali, ma la maniera in cui Watts lo mette in scena non ha nulla di abusato. Tutto questo cambiare di toni, giocare sugli stereotipi e sfruttare il meglio degli horror passati si concretizza in un film asciuttissimo e molto teso che non si fa mancare nulla nel suo repertorio di paure, dall'angoscia iniziale, alla repulsione della mutazione, fino alla pura paura. Il suo pregio maggiore è il non tirarsi mai indietro quand'è il momento, ideando sequenze di tensione che sanno fare quel che all'horror riesce meglio: deformare i luoghi e la realtà che conosciamo per svelarne un'inedita dimensione spaventosa, così che il nostro sguardo su di essi non possa più essere lo stesso. C'è una sequenza in un colorato tubo di gomma da parco giochi per bambini che sembra quasi quella nei condotti di Alien, solo con più colori e più sangue.

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