Clown, la recensione
Sulla figura usuratissima del clown dell'orrore John Watts riesce ad incentrare un horror ottimo e ben tirato che inventa atmosfere di paura dove non pensavamo di trovarne
Non molto se il genere ti piace davvero.
Storia e spunto anzi sarebbero da ridere, vengono da uno scherzo postato su YouTube dallo stesso Watts (come ha raccontato nell'intervista che gli abbiamo fatto) che è piaciuto a Eli Roth il quale ha deciso di farne un film. C'è un padre che si traveste da clown per la festa del figlio ma non riesce più a levarsi il costume. Scopre infatti che, come nei film degli anni '80, quel vestito rimediato in una cantina polverosa è in realtà la pelle di un demone ed ora che ne è posseduto è diventata la sua pelle. Il vestito è un'estensione della carne, non è più tessuto, e con il passare dei giorni la maledizione peggiora.
Dunque dopo una prima parte davvero tradizionale (incontro fortuito con l'oggetto maledetto, contaminazione e scoperta della maledizione) ne parte una meno canonica in cui la furia omicida del demone cresce e si concretizza in bambini mangiati con grande efferatezza. Non solo, l'altra intuizione forte è che il protagonista perda progressivamente in umanità, diventi lentamente più demone che uomo e che questo lo si veda in una deformazione graduale. Clown infatti inizia come un film demoniaco ma scarta subito di lato per diventare un body horror e appassionarsi alle mutazioni della carne. Da che è un uomo con costume il protagonista si trasforma con calma in un clown dal vero, con piedi giganti e volto bianco (per dire due elementi). Come se il film di Watts prendesse l'idea migliore di La ballata dell'odio e dell'amore (il pagliaccio che alla fine si sfigura per fare realmente quel che il trucco simula) per trasferire sulla carne un trucco maligno. È il clown spaventoso classico (quello preciso, colorato e ben truccato) che diventa lentamente quello moderno (con un vestito e un trucco sfatto, da barbone) grazie ad una mutazione sofferta.