Cloud Atlas, la recensione
Cloud Atlas, il nuovo film dei Wachowski e di Tom Tykwer, è un imponente racconto che mescola epoche, personaggi e generi per un’epopea quasi indimenticabile...
Partiamo con un po’ di numeri. E’ la più grande produzione del cinema tedesco, più di cento milioni di budget. E’ il primo film dei Wachowski da quando Larry è diventato a tutti gli effetti Lana. E’ il primo caso di regia e sceneggiatura realizzata a tre mani di cui due sono fratelli (il terzo incomodo è il tedesco Tom Tykwer) e infine è il primo film tratto da un romanzo dell’inglese David Mitchell, uno degli scrittori contemporanei di maggiore successo, non a caso inserito nel 2007 dal Time tra le cento persone più influenti al mondo (L'Atlante delle Nuvole è stato pubblicato nel 2004).
L’aspirazione è alta, si potrebbe dire che è la stessa che ha mosso il Terrence Malick di The Tree of Life anche se poi questo e quel film non si assomigliano per nulla. Sono tante le parole anche qui, ma il montaggio alternato tra le varie storie rifugge la riflessione introspettiva come filo narrativo, ma al contrario crea una amalgama come un grande thriller dell’anima, con tanto di spettacolare impianto scenografico. I Wachowski e Tykwer citano pensieri new age e saccheggiano ambientazioni che vanno da Blade Runner ad Avatar, ma riescono a farlo senza mai rendersi ridicoli, lasciando trasparire una sincerità e un amore di fondo per il difficile obiettivo che si sono posti, ovvero raccontare l’umanità con un film, che gli si finisce per perdonargli qualsiasi ingenuità. Alcune scene sono girate magnificamente e tutti gli attori, da un ritrovato Tom Hanks al sempre magnifico Jim Broadbent, da Halle Berry alla coreana Doona Bae, passando per Hugo Weaving, Ben Whishaw e Jim Sturgess, danno il loro contributo, non sovrastano mai “il” o “i” (in alcuni casi ne hanno più d’uno) propri personaggi, ma risultano perfetti tasselli di un grande mosaico destinato a rimanere a lungo nella mente dei suoi spettatori.