Close, la recensione | Cannes 75
Il peso del giudizio sociale su due bambini dalla relazione solo di poco non convenzionale inizia a pesare sulla loro tenuta psicologica
Il problema, molto spesso, è il manuale. Il manuale di come si fanno i film d’autore. Ovvero il fatto che il cinema d’autore diventi un genere da che non lo è (in teoria dovrebbe contraddistinguere un modo di pensare i film), un genere con i suoi luoghi comuni, i suoi archetipi narrativi e, cosa peggiore, le sue soluzioni formali sempre uguali, adottate da registi diversi, cosa che di fatto appiattisce quella che dovrebbe essere la caratteristica principale e più importante: la personalità.
Ancora una volta la storia racconta di come la società fatichi ad inglobare modelli sessuali o anche di gender non allineati al binomio maschile/femminile e di quanto questo massacri la testa e l’anima di chi invece si ritrova posizionato in un punto meno convenzionale dello spettro sessuale. Accade ai due bambini protagonisti, amici così amici da avere un contatto fisico forte, più forte del solito per la loro età. Forse c’è dell’attrazione in embrione, forse no, forse sono solo meno inibiti dei loro coetanei e non hanno problemi nel manifestarsi affetto in modi ritenuti femminili, con abbracci e contatti. Di fatto nessuno sembra accettarlo e il giudizio sociale comincia ad allontanarli. Ci sarà un fattaccio e la seconda parte del film sarà tutta dedicata al venire a patti con questo fattaccio.