Civil War, la recensione
Il miglior film di guerra dell'anno, Civil War, è anche quello che in maniera più diretta vuole parlare di cosa sta accadendo in America
La recensione di Civil War, il film di Alex Garland in uscita al cinema il 18 aprile
L’asse principale del racconto è un rapporto madre/figlia tra la grande fotografa (Kirsten Dunst, il vero perno del film sul cui volto si misura la follia di tutto, e veicolo del suo senso ultimo) e la giovane fotografa (Cailee Spaeny) che vorrebbe essere come lei, che è raccontato come di solito si raccontano i rapporti tra uomini in situazioni pericolose: con poche parole e un sentimentalismo soffocato. Il resto è animazione di una vicenda il cui scopo principale è mettere in primo piano lo sfondo. Non a caso in certi punti Civil War ricorda The Last Of Us (gioco e serie), ribadendo come il cinema ha smesso di indicare la via e basta ma ha cominciato a rubare soluzioni e atmosfere dalle altre forme di audiovisivo una volta “derivate”. Sono i comprimari a contare(come Jesse Plemons, anche qui matto controllato come sempre), è il carattere dei compagni di avventura a pesare (eccezionale Wagner Moura, un drogato di tensione). Del resto ogni film post-apocalittico sta sulle spalle dei precedenti, ne replica tutte le trovate e ne aggiunge di sue, per creare un racconto sempre più plausibile di un futuro derelitto. E qui la plausibilità è altissima.
È facile dire che i giornalisti possono essere la parte eroica di un conflitto, difficile è imbastire un racconto come Civil War, in cui i protagonisti non hanno gli ideali e le motivazioni degli eroi, ma inseguono un bisogno di documentare malato che è anche un bisogno di vedere in prima persona. Lo stesso desiderio che i film alimentano nello spettatore (non a caso qui anche noi siamo portati a bramare di arrivare a vedere il presidente). E alla fine sa lasciare con la domanda giusta, cioè quanto si può essere contenti di come si è risolto il conflitto? Quanto quel tipo di violenza, quella soluzione estrema è davvero soddisfacente? E quanto invece non è una sconfitta anche per chi la auspicava.